COP15: il mondo si impegna per la biodiversità

Gli organismi viventi interagiscono vicendevolmente. Da qui il termine biodiversità, coniato nel 1988 dall’entomologo americano Edward O. Wilson, oggi sempre più usato a causa della fortissima accelerazione con cui scompaiono dalla faccia della terra le specie viventi, animali e vegetali.

Misure per affrontare la perdita di biodiversità

Per affrontare questa dinamica e le sue conseguenze, nel 1995 si è tenuta la prima Conferenza delle parti (Conference Of Parties-COP) della Convenzione Onu sul cambiamento climatico, frutto del cosiddetto Summit per la Terra di Rio nel 1992, la prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente. Da qui è sorta la Conferenza sulla biodiversità, di cui ora siamo arrivati alla 15a edizione che si è recentemente conclusa a Montréal, Canada. 196 Paesi hanno adottato il “Quadro globale per la biodiversità” (GBF), che comprende una serie di misure per affrontare la perdita di biodiversità e ripristinare gli ecosistemi naturali colpiti dall’inquinamento, dal degrado e dalla crisi climatica, con delle scadenze precise:

  • ripristinare il 30% degli ecosistemi terrestri e marini degradati entro il 2030;
  • arrestare l’estinzione delle specie conosciute ed entro il 2050 ridurre di dieci volte il rischio e il tasso di estinzione di tutte le specie;
  • ridurre il rischio dei pesticidi di almeno il 50% entro il 2030;
  • ridurre i nutrienti dispersi nell’ambiente di almeno il 50% entro il 2030;
  • ridurre i rischi e gli impatti negativi dell’inquinamento da tutte le fonti a livelli non dannosi per la biodiversità e le funzioni dell’ecosistema entro il 2030;
  • ridurre l’impronta globale dei consumi entro il 2030, anche attraverso una significativa riduzione nella produzione di rifiuti e dimezzando gli sprechi alimentari;
  • gestire in modo sostenibile le aree destinate all’agricoltura, all’acquacoltura, alla pesca e alla silvicoltura ed aumentare in modo sostanziale l’agroecologia e altre pratiche rispettose della biodiversità;
  • affrontare il cambiamento climatico con soluzioni basate sulla natura;
  • ridurre il tasso di introduzione e di insediamento delle specie esotiche invasive di almeno il 50% entro il 2030;
  • rendere più verdi gli spazi urbani.

L’accordo aumenta in modo significativo i finanziamenti per la biodiversità, nazionali e internazionali, sia pubbliche che private, mobilitando almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, di cui almeno 20 miliardi entro il 2025 ed almeno 30 miliardi entro il 2030 in aiuti ai Paesi in via di sviluppo, con incentivi specifici per consentire alle imprese di impegnarsi sulla biodiversità. Nel contempo affronta la questione dei sussidi dannosi per la biodiversità, con l’impegno di individuare entro il 2025 ed eliminare entro il 2030 un totale di almeno 500 miliardi di dollari all’anno. L’accordo prevede anche la salvaguardia delle popolazioni indigene, custodi dell’80% della biodiversità residua della terra.

L’uomo utilizza abitualmente circa 50.000 specie selvatiche ed una persona su cinque degli otto miliardi di abitanti del mondo dipende da queste specie per il cibo ed il reddito. E’ dunque interesse vitale della specie umana operare per la biodiversità per evitare il rischio incombente di una desertificazione che renderebbe vana ogni attività. Se, però, queste grandi tematiche non vengono diffuse ed applicate nel concreto, anche le grandi conferenze restano lettera morta. Il primato dell’economia e della finanza non conta nulla se poi vengono a mancare le condizioni vitali. Soprattutto i prodotti del territorio dovrebbero farsi parte attiva per la biodiversità.

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Fonte: Commissione Europea e UN Climate Change

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Leo Bertozzi
Informazioni su

Agronomo, esperto nella gestione delle produzioni agroalimentari di qualità e nella cultura lattiero-casearia.

Pubblicato in Ambiente, Biodiversità