Dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989 si è aperta l’era della globalizzazione, il fenomeno caratterizzato dalla rapida interdipendenza fra le diverse economie, popoli e culture. Con la crisi finanziaria del 2008 sono sorti interrogativi sulla iperglobalizzazione derivante dai movimenti transnazionali di persone, beni, servizi, capitali e dati. Questo ha portato ad un rallentamento nella interconnessione mondiale, evidenziata dal valore del PIL nei vari Paesi.
Le catene di approvvigionamento hanno iniziato a contrarsi dopo anni di esternalizzazioni (outsourcing) e delocalizzazioni (offshoring), così come il multilateralismo e la cooperazione internazionale per l’integrazione economica. Alcuni governi, in particolare gli USA con l’amministrazione Trump, hanno iniziato a sollevare dubbi sull’efficacia di agenzie multilaterali, l’ONU come l’Organizzazione Mondiale del Commercio OMC/WTO e l’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS/WHO.
Inoltre, le crescenti forme di nazionalismi e populismi hanno puntato il dito sul dogma della globalizzazione. Comunque, l’internazionalizzazione in settori quali il flusso dei dati, il turismo o le migrazioni, ha continuato ad espandersi. Poi la pandemia del 2020 ha assestato un colpo sostanziale ai flussi del commercio mondiale, degli investimenti, dei viaggi.
Di conseguenza, la globalizzazione ha cominciato a mutare, diventando più complessa e sfaccettata. Se da un lato gli scambi internazionali di beni e servizi, incluse le attività finanziarie, sono stati rallentati lasciando spazio anche a forme di protezionismo, dall’altro hanno continuato a crescere le diseguaglianze tra regioni mondiali. Di contro, in conseguenza delle restrizioni sociali e dei viaggi, ha avuto notevole impulso lo scambio internazionale dei dati, creando una sorta di reame globale digitale.
Fonte: Parlamento Europeo