Deforestazione: come invertire la rotta?

La continua ricerca di terre coltivabili per rispondere alla crescente domanda mondiale di prodotti commodity quali soia, olio di palma, carne od altro, ha portato alla deforestazione di interi territori. Fenomeno grave in sé, lo è ancor di più riguardo la foresta pluviale, che rappresenta la massima biodiversità di bioma terrestre, cioè l’insieme di popolazioni e comunità di esseri viventi che interagiscono fra loro. Le foreste pluviali localizzate nella fascia tropicale ed equatoriale della terra, sono  presenti in Asia, Australia, isole del Pacifico, Africa, America Latina ed ospitano da sole la metà delle specie viventi, animali e vegetali, del nostro pianeta.

La FAO stima in dieci milioni di ettari l’anno il ritmo attuale di perdita di foreste, dato inferiore ai 16 milioni di ettari persi regolarmente negli anni ’90, ma pur sempre allarmante. Colpisce la deforestazione della foresta pluviale amazzonica, che ha continuato ad accelerare nei primi anni del 2000, raggiungendo un tasso annuo di 27.423 km quadrati (maggiore della superficie della Sicilia) nel 2004. Nel 2021 ne sono stati distrutti 10.476 ettari e, seppur a tassi inferiori, la copertura forestale rimanente continua a diminuire. Altro esempio l’Indonesia, dove ogni giorno si perdono 49 km quadrati di foreste. La situazione è allarmante, anche per gli effetti negativi sul clima.

In Amazzonia, a Gennaio, è stato abbattuto il quintuplo di alberi rispetto ad un anno fa

Durante l’ultima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la COP26 che si è conclusa a Glasgow lo scorso novembre, oltre 100 Paesi hanno assunto l’impegno di fermare la deforestazione entro il 2030 e di invertirne la rotta.  Però le immagini satellitari  mostrano che la distruzione continua. Ad esempio in Amazzonia a gennaio è stato abbattuto il quintuplo di alberi rispetto ad un anno fa, pari ad una superficie di 430 km quadrati.

Il problema, oltre che ambientale, è anche sociale ed economico perché contrappone le comunità indigene a quanti vogliono sviluppare attività estrattive, agricole e di vendita del legname, con fortissime pressioni e grandi interessi internazionali.

La sensibilità verso queste realtà ha dato origine a sistemi volontari di certificazione, come Fairtrade e Rainforest Alliance per cacao e caffè; Roundtable Sustainable Palm Oil (RSPO), Indonesian Sustainable Palm Oil / Malaysian Sustainable Palm Oil (ISPO/MSPO); Forest Stewardship Council (FSC) per il legname; Carbon Certification per i biocarburanti.

Una nuova legislazione per ridurre l’impatto dell’UE sulla deforestazione

Diventa però legittimo chiedersi se tali certificazioni comportino effettivamente prodotti deforestation-free. La questione è rilevante e comporta la necessità di un riferimento normativo appropriato. Per questo la Commissione Europea ha proposto un Regolamento per riconoscere e definire i prodotti deforestation-free con lo scopo di ridurre il rischio che beni venduti sul mercato UE siano la conseguenza di deforestazione e degradazione delle foreste.

I fenomeni del cambiamento climatico rendono evidente l’imprescindibile necessità di preservare il polmone verde della terra rappresentato dalle foreste, soprattutto quelle umide tropicali. Il problema è enorme perché strettamente correlato con la produzione agricola e la necessità alimentare mondiale. Deve però essere affrontato con azioni concrete sul terreno, senza le quali saranno vanificati anche gli impegni assunti  nelle più alte sedi ufficiali.

DeforestazioneFonti: Reuters, European Parliament

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Leo Bertozzi
Informazioni su

Agronomo, esperto nella gestione delle produzioni agroalimentari di qualità e nella cultura lattiero-casearia.

Pubblicato in Ambiente, Biodiversità, Olio di palma, Sud America