Brexit e certificazioni bio: cosa cambierà

Brexit e certificazioni bio: cosa succederà? La domanda è legittima ed è una delle mille sfaccettature del referendum sulla uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Il Ccpb, il Consorzio per il controllo dei prodotti biologici di Bologna, ha dato la prima risposta, fatta la doverosa premessa che la Brexit non sarà operativa prima di due anni.

Il Regno Unito verosimilmente stringerà con l’Ue un accordo di equivalenza: prodotti bio certificati nel Regno Unito potranno essere commercializzati nell’Unione Europea e viceversa. Accordi simili sono già in vigore tra Europa e Stati Uniti, Giappone, Canada, Svizzera e molti altri paesi.

Per i consumatori italiani non cambierà molto: nelle etichette dei prodotti britannici che arriveranno nei supermercati e negozi italiani (non molti a essere sinceri), si potrà leggere la provenienza, esattamente come accade ora.

Allo stesso modo alle aziende, soprattutto quelle che esportano prodotti bio italiani nel Regno Unito, che sono tante, si ipotizza non verranno richiesti particolari adempimenti in più rispetto ad oggi.

L’aggancio con la cronaca e le ultimissime incognite è doveroso per mettere in luce la tendenza al biologico, spinto sia dalla moda che da esigenze squisitamente di mercato. I prodotti bio vengono pagati di più al produttore e, anche se hanno maggiori costi di produzione, il gioco vale la candela. A patto che, ovviamente, non si ecceda arrivando a creare uno squilibrio fra domanda (oggi in sensibile aumento) e offerta (in crescita).

L’attenzione verso il mondo del cosiddetto “organic” è in crescita un po’ ovunque. In Germania, informa Der Spiegel, l’acquisto dei prodotti biologici nel 2015 ha toccato un valore di 8,62 miliardi di euro, l’11% in più rispetto all’anno precedente. Tanto che il ministro dell’Agricoltura, Christian Schmidt, ha affermato: “Il mio obiettivo è quello di aumentare ulteriormente la quota dei prodotti biologici tedeschi”. Nella vicina Francia, nel 2015 il mercato del bio valeva circa 5,8 miliardi di euro.

Persino l’Ucraina sta assecondando la scia mondiale e i consumatori di Kiev sono disposti a pagare prezzi più elevati per l’acquisto di prodotti coltivati senza pesticidi, fertilizzanti e additivi sintetici. Un mercato ancora limitato, se è vero come dichiara l’associazione nazionale di riferimento, che in Ucraina ci sono circa 300 fornitori di prodotti alimentari biologici, pari all’1% del mercato alimentare del paese, mentre in Europa il 10% di tutti gli alimenti consumati è biologico.

La partita è aperta anche nel settore lattiero. Michel Plessis, storico produttore di latte della zona francese del Calvados, 20 anni fa ha deciso di sposare il biologico, essenzialmente per questioni etiche. “Siamo passati da 7.000 a 5.000 litri l’anno per vacca – racconta – Lactalis ci ha accompagnati finanziariamente nella transizione”. L’azienda consegna 230.000 litri di latte bio a Lactalis “a 430 euro i 1.000 litri, al prezzo base”. Vale a dire 150 euro in più rispetto al prezzo proposto agli allevatori convenzionali.

Nell’Ovest della Francia nel giro di un anno, complice la crisi del latte, hanno scelto di convertirsi al biologico 340 aziende agricole, per un totale di 135 milioni di litri di latte. Entro il 2018 si prevede che in Francia le produzioni arriveranno a 800 milioni di litri di latte bio, su un totale nazionale pari a 24 miliardi di litri.

Altissima l’attenzione al biologico anche in Italia. Alcuni giorni fa, in un affollatissimo convegno organizzato a Cavriana (Mantova), erano parecchi gli allevatori interessati a valutare la strada del biologico. A maggior ragione quando hanno appreso che il prezzo retribuito da due colossi come Sterilgarda e Granarolo, un’industria e una cooperativa, si aggirava intorno ai 56 centesimi al litro.

È chiaro che si tratta per la stalla di una rivoluzione copernicana, a partire dallo sguardo complessivo, che deve essere più attento alle performance, al benessere degli animali e alla qualità del prodotto che non ai volumi per capo.

Ma il fatto che gli animali siano tali e non robot è un concetto condiviso dalla maggior parte dei produttori e dagli addetti ai lavori, a partire dai grandi ricercatori in tema di genomica, come il direttore dell’Anarb (Associazione nazionale allevatori di razza Bruna), Enrico Santus.

In Italia oggi gli ettari coltivati con metodi biologici sono quasi due milioni, con dimensioni aziendali medie di circa 50 ettari (fonte: Confagricoltura) e una spiccata propensione ai mercati internazionali. Solo in Italia il mercato del bio vale 2 miliardi di euro.

In attesa che si raggiunga un’intesa a livello comunitario per una nuova legge del settore – in ritardo di un anno sulla tabella di marcia – rilanciamo l’analisi di Didier Perreol, presidente dell’Agenzia francese sul Biologico, secondo il quale se il paese transalpino si convertisse interamente al biologico entro il 2050 vi sarebbe il modo di arginare il calo della popolazione attiva agricola e, addirittura, di aumentarne gli addetti.

CLAL.it - Prezzi del latte Bio in Germania e Francia

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Matteo Bernardelli
Informazioni su

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

Pubblicato in Allevamento, Biologico, UE, UK

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