Epta Nord: analisi e futuro [Intervista a Marcello Ferioli]

Per farla breve, senza perdersi nei numeri: se il lettore facesse l’elenco di tutti i cibi mangiati nelle ultime due o tre settimane, molto probabilmente, per non dire sicuramente, riscontrerebbe che l’analisi su alcuni aspetti della catena alimentare o sul corretto confezionamento del prodotto è stata fatta dal laboratorio Epta Nord di Conselve (Padova), operativo da 40 anni e fondato da Marcello Ferioli.

Sono migliaia le analisi che ogni anno Epta Nord effettua per garantire la sicurezza alimentare e l’integrità degli alimenti, spaziando in verità anche in altri ambiti, come l’agro-zootecnico, l’analisi dei mangimi, la conservabilità dei prodotti, i materiali a contatto con gli alimenti, ma anche controlli sui prodotti farmaceutici, sulle condizioni ambientali, in ambito non food come il benessere e l’igiene della persona. E ancora: l’analisi delle acque di scarico degli insediamenti industriali, il pet-food, gli integratori. “Il latte rappresenta circa il 40% delle analisi legate al segmento degli alimenti, visto che l’intervista è per CLAL.it e con Angelo Rossi c’è un’amicizia e un rapporto di stima di lunga data”, specifica Marcello Ferioli, fondatore e titolare dell’azienda nella quale lavorano anche il fratello, la moglie, i figli e un centinaio di dipendenti.

Dal 1983 a oggi, come è cambiata l’attività?

“La burocrazia è aumentata, tanto che negli anni il rapporto fra chi fa analisi e chi si occupa di norme e burocrazia è nell’ordine di due persone in ufficio per la gestione del dato per ogni addetto alle analisi. Per stare al passo con le normative del settore agroalimentare e per seguire gli aggiornamenti legislativi, i limiti di legge che cambiano spesso, gli enti di accreditamento, i rapporti di prova, abbiamo dieci persone che si occupano solo della verifica della correttezza dei dati e dei limiti normativi.

Quanti sono i familiari coinvolti e con quali ruoli?

“Siamo un centinaio di dipendenti e l’azienda è mia e di mio fratello Gianfranco, che gestisce la parte logistica del prelievo dei campioni e il lavoro esterno. Ho due figli che stanno studiando, mio figlio Marco che è al secondo anno di Economia e mia figlia Anna che sta terminando la laurea magistrale in Scienze e tecnologie alimentari, che già lavorano in azienda (nella fotografia, ritratti insieme allo zio Gianfranco Ferioli, ndr). Mia moglie tiene i rapporti con i clienti esteri, grazie alla laurea in Lingue. Offriamo servizi di analisi per chi importa dall’estero o esporta dall’Italia”.

Che servizi svolgete per il settore agroalimentare?

 

Fra i precursori del pagamento latte qualità

“Prevalentemente svolgiamo verifiche alla produzione. La base di partenza è stato il latte e, addirittura, i primi anni operavamo quasi esclusivamente alla verifica della qualità del latte delle singole stalle, tanto che siamo stati fra i precursori del ‘pagamento latte qualità’ e ancora oggi siamo impegnati nei controlli in ambito della trasformazione lattiero casearia, nei caseifici di tutta Italia, anche se per motivi geografici la maggior parte del lavoro è nel Nord Italia”.

L’attività si è evoluta nel settore alimentare?

“Sì, oggi ad esempio offriamo servizi di consulenza anche per quegli aspetti tecnologici che sono collegati all’autocontrollo, cioè a quelle norme volontarie e di qualità come le norme ISO, facciamo anche attività di verifica nei punti vendita della GDO oltre ai controlli sulla trasformazione nel settore industriale”.

Il sistema di tracciabilità e rintracciabilità in Italia funziona?

“Per me sì e, dove non funziona, è più per fattori di disonestà che per falle nel sistema. È fondamentale che siano coinvolti tutti gli anelli della filiera”.

Come avete affrontato l’emergenza Covid?

“Abbiamo lavorato normalmente come tutte le strutture sanitarie. I problemi, semmai, ci sono stati sul piano della gestione interna del personale”.

Quali servizi e analisi ritiene possano caratterizzare il futuro del comparto agricolo e alimentare?

Marker specifici per definire l’origine dei prodotti

“Credo che andrà sempre più avanti la riduzione dei limiti di rilevabilità dei vari residui, fra quelli già normati, come ad esempio nel caso dei Pfas, le parti residuali legati agli aspetti inquinanti. Poi verrà avanti il discorso di quei marker specifici in base ai quali è possibile definire l’origine dei prodotti alimentari. È un tema che sta avanzando nel vino, con l’istituto Edmund Mach di San Michele all’Adige, ma che approderà anche agli altri alimenti, comprese le produzioni Dop. Servirà un lavoro di ricerca impegnativo, ma sarà allo stesso tempo una garanzia di tracciabilità in grado di tutelare le produzioni dei diversi territori”.

Che quadro si è fatto del Made in Italy?

Made in Italy: ci distingue la capacità di trasformazione

“Siamo molto bravi a trasformare. Partiamo chiaramente da una qualità delle materie prime indubbiamente buona, ma non è quello che ci distingue, quanto la capacità di trasformazione. L’origine ha sicuramente importanza, ma non siamo un Paese che può contare su quantità enormi, per cui la trasformazione è l’aspetto più importante. Inoltre, possiamo contare su livelli molto alti anche dal punto di vista della serietà delle aziende”.

Fate controlli anche nel campo del biologico?

“Certamente”.

Quali difficoltà vivete nel vostro settore?

“Nell’ultimo anno i costi sono lievitati moltissimo, ogni 15 giorni subivamo l’incremento dei gas tecnici, con estreme difficoltà nel riportare tali pressioni sul prezzo finale del nostro servizio. Anche i reagenti hanno segnato un incremento dei costi particolarmente pesante, senza che i nostri clienti avessero tale percezione. La situazione è ancora più complicata perché ci troviamo a misurarci soprattutto con le multinazionali, che hanno capacità di intervento sul mercato decisamente diverse.

Un’altra difficoltà è legata al reperimento del personale, anche per un ricambio generazionale che deve partire con l’affiancamento dei giovani a figure professionali che sono con noi da 20-30 anni e anche più”.

Qual è la causa di questa difficoltà nel reperire nuove figure professionali?

“Subiamo più concause. Il nostro target di riferimento sono figure che hanno lauree brevi e lauree magistrali. In molti casi l’Università ti prepara sul piano teorico, ma non ti insegna a lavorare. Ciononostante, gli aspiranti collaboratori e dipendenti partono dall’assunto che un titolo di studio debba garantire immediatamente determinati riconoscimenti economici. Noto in moltissimi giovani la difficoltà a scrivere una relazione, unita ad una scarsa costanza a rimanere aggiornati attraverso lo studio, che nel nostro lavoro è una costante. Inoltre, dopo il Covid il settore farmaceutico ha assunto molti giovani, offrendo stipendi doppi o addirittura tripli rispetto a quelli che potevamo offrire noi. A tutto questo dobbiamo aggiungere anche gli aspetti legati ai ritmi di lavoro e all’esigenza dei giovani di avere tempo libero. Noi ogni giorno facciamo analisi, non possiamo fare smart working, lavoriamo anche il sabato o la domenica mattina, proprio perché affrontiamo aspetti legati a determinati alert microbiologici. Eppure, constatiamo che il tempo libero per molti è diventato preminente rispetto all’aspetto economico”.

Marco, Gianfranco ed Anna Ferioli

Marco, Gianfranco ed Anna Ferioli

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Matteo Bernardelli
Informazioni su

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

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Pubblicato in Alimentazione