L’Opinione di Matteo Bernardelli, giornalista agricolo
Che la rivoluzione digitale in agricoltura sia in atto lo dicono i numeri: 1,6 miliardi di euro di investimenti in Italia nel 2021 (+23% sul 2020), trascinati dagli incentivi Agricoltura 4.0; un utilizzo sempre più diffuso di strumenti in grado di raccogliere dati, elaborarli e processarli. I vantaggi sono molteplici: riduzione dell’impatto ambientale, taglio dei costi, maggiori informazioni utili alla collocazione del prodotto agricolo e alimentare, grazie a strumenti in grado di “raccontare” la vita dal campo alla tavola, rispondendo così alle esigenze dei consumatori, che di un alimento vogliono innanzitutto sapere se ha rispettato i parametri di sostenibilità, cercano la provenienza (e il Made in Italy ha punti in più, abbiamo visto), dando per scontato come prerequisito la qualità.
Rispondere alla nuova società con la Blockchain
La strada dell’innovazione, tra burocrazia e ostacoli vari, non è così lineare, tanto che solo il 6% della superficie agricola italiana è coltivata attraverso strumenti di Digital Farming, seppure i vantaggi siano innegabili e permettano di costruire una filiera integrata e più completa a livello di informazioni.
Agricoltura 4.0: è possibile fare di più?
Vi sono due strade, essenzialmente, che possono essere battute. La prima è legata all’introduzione in azienda di strumenti che hanno costi contenuti, ma molto utili, come ad esempio le centraline meteo, che consentono di rilevare il grado di umidità nell’aria, nei terreni, suggeriscono quando è ora di irrigare, rilevano le temperature e consentono così di costruire un quadro legato agli andamenti meteo-climatici, così da permettere alle imprese di essere più resilienti. È un primo passo, che porta risultati percepibili in chiave di razionalizzazione nella gestione di alcune attività.
Una seconda soluzione guarda al ricorso della cosiddetta agricoltura in outsourcing e potrebbe aiutare a far crescere la percentuale di terreni gestiti tramite agricoltura di precisione e sistemi di Digital Farming.
La terziarizzazione dei servizi è un comparto che vale – secondo i dati del Crea-Mipaaf – oltre 7 miliardi di euro fra attività in contoterzi professionale (cioè imprese agromeccaniche pure) e attività connessa (nella formula di agricoltori che svolgono anche attività verso altre imprese agricole).
È una soluzione sempre più apprezzata dalle imprese agricole e, per alcune operazioni, ormai ineluttabile. Quante imprese agricole possono permettersi una mietitrebbia o una trincia, del valore di oltre 500mila euro? La prossima Pac richiederà un livello di attenzione all’ambiente ancora più elevato, ma quanti allevatori potranno investire centinaia di migliaia di euro per macchine dedicate all’interramento dei reflui con sistemi ombelicali in grado di distribuire i reflui zootecnici in base all’effettivo fabbisogno del terreno?
Terziarizzare per risparmiare tempo e soldi
Anche il contoterzismo agricolo si è evoluto (in alcuni casi gestiscono le operazioni inerenti a biogas e biometano) e ha inevitabilmente dovuto anticipare le esigenze di un’agricoltura ad alto valore aggiunto come quella italiana, caratterizzata da una dimensione poderale media più ridotta rispetto a Francia o Germania.
Come assecondare la crescita dell’agricoltura di precisione, la diffusione di nuovi servizi, una nuova alleanza fra imprese agricole o allevamenti e imprese agromeccaniche? Col dialogo, elaborando progetti di filiera o di distretto in cui ciascuno possa giocare un ruolo definito e altrettanto cruciale per una crescita equilibrata del settore, con margini di guadagno correttamente definiti. Nell’agricoltura del futuro non c’è spazio per l’isolazionismo, lo sviluppo delle aree rurali passa dalla collaborazione.