Col crollo dei consumi e la diminuzione degli scambi, i magazzini si riempiono in modo incontenibile con un conseguente riflesso sui prezzi. La legge dell’offerta e della domanda si rende evidente in modo brutale in questa crisi di pandemia sanitaria, che colpisce tutti i mercati, con riflessi rapidi proprio su petrolio e latte, prodotti che richiedono tempo per modulare le quantità immesse sul mercato e dunque particolarmente esposti.
Il petrolio incontra 3 difficoltà: crollo della domanda, spinta produttiva e mobilità elettrica
Il petrolio incontra tre difficoltà. La prima è evidente e consiste nel crollo della domanda a causa del confinamento generale. La spinta produttiva, impostata negli USA, così come in Russia od in Arabia Saudita, non può essere arrestata da un giorno all’altro e fa debordare i serbatoi. Gli Stati Uniti, grazie alla tecnologia per estrarre petrolio di scisto (shale oil), sono arrivati a produrre 12,2 milioni di barili al giorno rispetto ai 5,48 milioni di barili del 2010; ma con un prezzo inferiore ai 50 dollari a barile, questa tecnologia estrattiva non permette di coprire i costi. Anche la Russia ha aumentato la produzione, attestandosi su 11 milioni di barili al giorno, il doppio rispetto al 1990, ed aumenti si registrano anche nei Paesi del Golfo. Nel contempo, il diffondersi della mobilità ibrida ed elettrica, così come la diffusione del gas naturale per il riscaldamento, ha accentuato una crisi strutturale, che si è acutizzata col COVID-19, portando alla luce l’incapacità dei Paesi produttori di accordarsi sulla programmazione produttiva.
Nel latte, la situazione è simile: spinta produttiva, contrasti geopolitici evidenziati dai dazi per le ritorsioni commerciali, ristrutturazioni dei modelli produttivi. Il COVID-19 ha fatto scoppiare queste difficoltà. La dimensione media degli allevamenti è cresciuta, le aziende trasformatrici si sono specializzate e gli acquirenti si sono concentrati. L’interruzione di alcuni canali d’acquisto ha determinato un eccesso di offerta e di conseguenza la necessità di vendere latte ad un prezzo inferiore al costo di produzione. Significativa la situazione negli USA dove, specialmente nel Midwest, Wisconsin, Idaho, Minnesota, il latte in eccesso è venduto allo stesso prezzo del 1970.
Quindi, il petrolio continua ad essere pompato dai pozzi ma i serbatoi non possono contenerlo, così come le vacche continuano a produrre latte che non può essere collocato.
Polverizzare il latte non è sufficiente per riequilibrare il mercato
È chiaro che il latte in eccesso può essere polverizzato; si possono attivare i programmi di aiuto agli indigenti e le vacche possono essere messe in asciutta. Però nessuno di questi ammortizzatori permette di riequilibrare il mercato come nel caso dell’acciaio invenduto che può essere impilato nei cortili dei capannoni modulando il mercato.
Pertanto, il crollo dei prezzi nel breve termine non può che essere affrontato con interventi attuati in modo coordinato e condiviso lungo tutta la filiera produttiva.
Fonte: Twin Cities