La crisi nelle quotazioni del latte è una realtà mondiale. Accomuna le tre maggiori aree di produzione, Unione Europea, Stati Uniti, Nuova Zelanda, che però sono distinte da strutture tecniche e finanziarie tali da influenzarne in modo importante il livello competitivo.
Nella Unione Europea, la fine del regime trentennale di quote latte ha mostrato quanto possa essere importante il potenziale produttivo nelle aree più vocate, con i significativi incrementi registrati già nella prima parte del 2014.
Negli ultimi sei mesi, la riduzione nel rapporto di cambio dell’Euro rispetto al Dollaro ha rappresentato il fattore determinante per rendere competitivo l’export europeo, evitando che il latte scremato in polvere raggiungesse livelli di quotazione prossimi al prezzo d’intervento.
Anche negli USA la produzione di latte è in crescita e l’US Department of Agriculture prevede che la tendenza continui nel 2016 a causa del favorevole costo nell’alimentazione animale, stanti le contenute quotazioni di cereali e soia.
La situazione sembra invece più critica in Nuova Zelanda, paese caratterizzato da 3 fattori: maggior esportatore mondiale di latte, allevamento estensivo basato sul pascolo, presenza dominante di un solo operatore.
Il prezzo del latte alla stalla pagato da Fonterra, che trasforma la grande maggioranza del latte del paese, è al livello più basso da sette anni, ben al di sotto dei costi di produzione. Questa situazione è dirompente per l’economia del paese oceanico, con pesanti ricadute sulla vita stessa degli allevatori, che si erano esposti con investimenti stimolati dalle quotazioni di inizio 2014.
Di conseguenza le autorità del paese hanno deciso un taglio nei tassi di interesse, con un indebolimento nel rapporto di cambio della valuta, portandola al livello più basso degli ultimi due anni rispetto al Dollaro USA.
Produzione, consumi, rapporti di cambio, sono le tre variabili che intervengono sul prezzo mondiale del latte. A queste bisogna aggiungerne una quarta: il clima.
Fonte: Agrimoney
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