Il conflitto in Medio Oriente è l’ultimo di una serie ravvicinata di tre eventi che hanno accentuato i rischi geopolitici per le produzioni agroalimentari. Di conseguenza stiamo sperimentando direttamente quanto pandemie e conflitti abbiano pesanti ricadute sulla sicurezza alimentare, ricadute che possono diventare devastanti per i Paesi più deboli. Fra questi, nella regione mediorientale c’è la martoriata Siria che ha il triste primato di trovarsi all’ultimo posto nella classifica mondiale del Global Food Security Index 2022 sulla sicurezza alimentare in 113 nazioni. Al primo posto c’è la Finlandia, seguita da altri Paesi europei, dal nord America e dal Giappone, mentre quelli africani sono agli ultimi posti insieme al Venezuela. Scalare questa classifica della sicurezza alimentare non è facile dato che, oltre ai fattori geopolitici, influiscono anche le situazioni climatiche sfavorevoli, la debolezza economica, la scarsità di risorse tecnologiche per accrescere le produzioni e ridurre la dipendenza dalle importazioni.
Determinati a migliorare
Fra i Paesi medio orientali, quelli del cosiddetto Consiglio di cooperazione del Golfo (Gulf Cooperation Council-GCC, composto da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Bahrein, Oman), grazie alle ingenti risorse economiche sembrano determinati a migliorare la loro posizione sulla sicurezza alimentare attivando sinergie fra investimenti pubblici, attività produttive, capacità di ricerca ed innovazione. Significativo che a Dubai, negli Emirati Arabi collocati al 23mo posto nella classifica della sicurezza alimentare, contemporaneamente alla conferenza ONU sul clima COP28, si svolga anche il World Agri-Tech Innovation Summit sotto l’egida del Ministero per il cambiamento climatico e l’ambiente con lo scopo di riunire esperti e parti interessate che si occupano di selezione genetica per i climi aridi, di agricoltura rigenerativa, di agronomia digitale e di coltivazioni in ambienti controllati ad alta efficienza energetica.
Primo aspetto da affrontare è proprio il problema delle coltivazioni nei climi aridi, dove i cambiamenti climatici hanno effetti ancor più severi che in altri contesti, poi l’estrema dipendenza dalle importazioni. I Paesi del Golfo importano infatti il 93% del loro fabbisogno in cereali, il 62% di carne, il 56% di frutta e verdura ed in generale l’85% di tutti gli alimenti, rendendoli dipendenti dalle catene di approvvigionamento internazionali che sono estremamente vulnerabili. Basti pensare che nei mesi della pandemia il costo di trasporti e logistica è aumentato fino a sette volte. Ma non solo: anche le scelte dei Paesi esportatori possono accrescere tale vulnerabilità, sia per le politiche protezioniste, sia per quelle incentivanti che, attraverso fiscalità e sussidi, rendono molto più competitivi i prodotti importati rispetto alle produzioni locali.
Tecnologie agricole innovative
I Paesi del Golfo stanno investendo molte risorse nelle tecnologie agricole innovative (AgTech) per aumentare in quantità e qualità le produzioni domestiche. A Dubai è stata realizzata la Food Tech Valley con l’intento di avere oltre 300 coltivazioni attraverso tecniche come l’agricoltura idroponica ed il vertical farming. Lo scorso febbraio è stato inaugurato il più grande centro di ricerca e sviluppo al mondo per l’agricoltura verticale dove, su una superficie di quasi 20 mila metri quadri dove in un approccio multidisciplinare verranno sperimentate tecniche di agricoltura di precisione, caratterizzazione sensoriale, robotica, intelligenza artificiale per affrontare le problematiche produttive nei climi aridi. La finalità è anche quella di trovare soluzioni sostenibili per i tanti piccoli agricoltori che operano nelle regioni più sfavorite in Africa e nel sud est asiatico, attraverso forme innovative di collaborazione e cooperazione per avere cibo in quantità sufficiente, sicuro e ad un prezzo abbordabile.
Sono le nuove realtà della geopolitica.
Fonte: Open Knowledge Repository, Food Navigator Asia, Economist Impact