Agire per contrastare la volatilità dei mercati

Il calo nel prezzo del latte registrato a partire dal secondo semestre del 2014  sta cominciando a suscitare forti preoccupazioni anche in quei paesi che avevano visto nella liberalizzazione dei mercati una notevole opportunità di business. Fra questi l’Irlanda, che annunciava la potenzialità di aumentare anche del 50% la produzione di latte per far fronte alla forte richiesta mondiale.

A distanza di poco più di un anno da queste previsioni, lo scenario è del tutto diverso e si cominciano a tracciare previsioni fosche con situazioni insostenibili. Ad esempio, l’amministratore delegato del gruppo cooperativo Lakeland Dairies, la seconda  maggiore azienda lattiero-casearia irlandese con una capacità produttiva intorno al milione di tonnellate di latte all’anno ed esportazioni in oltre 70 paesi,  chiede alla UE di innalzare immediatamente i prezzi di intervento, portandoli ad almeno 27-28 centesimi al litro.

E’ evidente che col crollo della domanda russa ed il consistente calo di quella cinese, i due maggiori importatori mondiali di latte e derivati, può diventare  necessario ricorrere all’intervento comunitario per assorbire le eccedenze produttive, ma il prezzo deve essere tale da coprire  un minimo i costi di produzione.

Sempre secondo il responsabile irlandese è ingiusto, infatti, che gli agricoltori debbano pagare il prezzo della decisione politica della UE di imporre sanzioni alla Russia. E’ ovvio che tutti i prodotti possono trovare una collocazione sul mercato, ma la consistente offerta ne fa cadere il valore e di conseguenza il prezzo che le aziende possono pagare ai produttori.

Un altro fattore indicato come fonte di volatilità sui mercati è il rapporto di cambio fra le diverse valute, questo sia all’interno della UE fra i paesi dell’area Euro e gli altri, ad esempio la Sterlina inglese, sia a livello internazionale per il  Dollaro.

Diventa allora legittimo porsi alcune domande: in un contesto sempre più globalizzato è opportuno avere degli strumenti per contrastare la volatilità dei mercati? Quali? Oppure: globalizzazione e liberalizzazione di produzioni e mercati sono strade sempre percorribili? Quali i riflessi in caso di inaspettate decisioni politiche od eventi climatici inattesi? Un mercato, per essere veramente “aperto e globale” non presuppone forse anche strumenti regolatori globali per ammortizzare gli effetti negativi di eventi inaspettati o, per meglio dire, per contrastare la volatilità?

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Leo Bertozzi
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Agronomo, esperto nella gestione delle produzioni agroalimentari di qualità e nella cultura lattiero-casearia.

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Pubblicato in Quotazioni, Sostenibilità
3 commenti su “Agire per contrastare la volatilità dei mercati
  1. ermanno.comegna scrive:

    Nell’ultimo bollettino sulla situazione di mercato del latte, il Milk Marketing Observatory della Commissione UE ci informa che il prezzo medio del latte crudo alla stalla in Europa è pari al 162% del prezzo di intervento virtuale (quest’ultimo è di circa 22 euro per quintale, contro un valore di 35 euro della media effettiva a livello europeo).
    Di contro, ci sono alcuni Paesi europei, come ad esempio l’Irlanda, dove il livello di allarme rispetto alla critica situazione del mercato ed alla inadeguatezza degli strumenti di sostegno della PAC (le misure dell’OCM) ha raggiunto vette assai elevate, come evidenziato dalla nota di Leo Bertozzi.
    Nel mese di ottobre 2014 (ultimo dato disponibile), gli allevatori irlandesi hanno incassato tra 30 e 32 euro per quintale, con prospettive di ulteriori cali nei mesi successivi.
    In altri Paesi membri dell’UE, il prezzo del latte crudo alla stalla tiene, anche per effetto della vischiosità con cui si trasmettono i segnali di mercato lungo la filiera: tant’è che la media comunitaria, come detto, è attorno a 35 euro per quintale.
    Le prospettive sono però allarmanti, come si evince chiaramente dai grafici del CLAL, i quali ci dicono che, considerando le più recenti quotazioni europee di burro e latte in polvere scremato, si arriverebbe ad un prezzo equivalente della materia prima sotto la soglia dei 25 euro per quintale. E non si vede ancora all’orizzonte la possibilità che il trend negativo possa essere interrotto ed invertito.
    La domanda è allora: cosa fare?
    Gli irlandesi chiedono un pacchetto di sostegno realistico per il settore ed esortano le istituzioni europee ad agire in fretta, senza attendere che la crisi diventi così acuta da arrecare danni irreparabili alle imprese zootecniche ed all’industria di trasformazione.
    La Commissione europea è attendista, ma inizia ad avvertire un certo imbarazzo e manifestare qualche preoccupata reazione.
    In Italia non c’è stato ad oggi alcun confronto strutturato sul da farsi e ritengo che l’iniziativa del CLAL possa rappresentare un nucleo di riflessione dal quale partire per procedere verso una posizione politicamente spendibile a Bruxelles.
    Le mie idee in merito sono le seguenti:

    1. la politica di sostegno per il mercato del latte in Europa è poco efficace nello stabilizzare il prezzo e tutelare il reddito dei produttori agricoli e la fine del regime delle quote di produzione acuirà tale caratteristica;
    2. il Pacchetto latte non ha dato quella scossa di cui si avvertiva il bisogno e che, ritengo, le stesse istituzioni europee si attendevano;
    3. le misure per le prevenzione e gestione del rischio inserite nella nuova politica di sviluppo rurale 2014-2020 richiedono tempo per essere attivate;
    4. il sistema lattiero-caseario italiano presenta delle evidenti peculiarità (focalizzazione sulla qualità, sui prodotti a valore aggiunto, sul legame territoriale e sulla freschezza dei prodotti). Si pone allora il dilemma se possano andare bene obiettivi e strumenti di politica agraria uguali per l’intera UE, oppure sarebbe meglio un approccio differenziato, magari con una certa autonomia nazionale.

    Nell’immediato sono convinto della necessità e della urgenza di attivare un pacchetto di misure di supporto al mercato del latte in Europa, ricalcando l’esperienza del 2009, quando la Commissione UE intervenne con un certo successo, nel contrastare una difficile crisi.
    Nel medio termine, invece, ci sarebbe la necessità di una modifica dell’azione di regolazione di mercato eseguita attraverso i meccanismi della PAC. Questi non sembrano essere del tutto funzionali.

    Ermanno Comegna

  2. matteo bernardelli scrive:

    Interessante il dibattito innescato da Leo Bertozzi.
    Da cronista agricolo cerco di rispondere alle sue domande, che per semplicità elenco qui sotto. Premetto che non sono né un tecnico né un politico, ma un semplice osservatore, che pure ha il privilegio di occuparsi della materia da un po’ di tempo.

    In un contesto sempre più globalizzato è opportuno avere degli strumenti per contrastare la volatilità dei mercati? Quali?
    Sì, bisogna. Ma solo in parte. Innanzitutto perché le necessità di contrasto devono limitarsi ai picchi (verso l’alto o verso il basso) e non per neutralizzare il fenomeno speculativo in sé, che rappresenta uno dei motori del mercato.
    Secondariamente, è necessario individuare per ogni elemento del comparto gli strumenti di aiuto più idonei.
    Si potranno adottare i futures, per sostenere i trasformatori e le filiere Dop.
    Potranno essere valutate forme di assicurazione sul reddito, in modo che i produttori possano avere una rete di protezione in caso di crollo dei prezzi. Ma è evidente che le risorse per le polizze dovranno essere individuate all’interno delle risorse comunitarie e non prelevate da doti finanziarie già spettanti al comparto agricolo.

    Globalizzazione e liberalizzazione di produzioni e mercati sono strade sempre percorribili?
    La risposta la regala già Leo Bertozzi poche righe più sotto. Lo cito: “Un mercato, per essere veramente “aperto e globale” non presuppone forse anche strumenti regolatori globali per ammortizzare gli effetti negativi di eventi inaspettati o, per meglio dire, per contrastare la volatilità?”.
    Una minima regolamentazione è necessaria. Un mercato senza regole, come spesso ricorda l’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, rischia di tradursi in un mercato selvaggio.
    Ma le regole, i sostegni, gli strumenti regolatori, per essere efficaci ed effettivamente globali devono poter essere “particolari”. Vale a dire su misura per le diverse specificità dei territori.
    Un’Europa delle Regioni non può più trattare allo stesso modo le grandi aziende e le piccole stalle, le zone di pianura e quelle di montagna, la cooperazione e l’industria di trasformazione.
    Siano le Regioni e non gli Stati a trattare in sede comunitaria, facendo valere i diritti dei disdetti, dei territori, dei produttori, delle filiere.
    Le grandi Dop lombarde o Made in Italy non possono subire un tracollo dei listini in conseguenza all’embargo russo. Servono reti di protezione specifiche, che non vadano a penalizzare (come spesso è accaduto in Italia) i produttori di un Paese più di quelli di un altro.

    Altra domanda di Leo Bertozzi. Quali i riflessi in caso di inaspettate decisioni politiche od eventi climatici inattesi? Difficile rispondere, per la natura stessa di decisioni politiche “inaspettate” e di eventi climatici “inattesi”. Se limitiamo l’attenzione ai cambiamenti climatici, sono in corso evoluzioni tali che lasciano presupporre che ormai si debba ogni 12-24 mesi fare i conti con elementi non più inattesi, come la siccità o l’eccessiva piovosità. In questo caso sarebbe bene affrontare l’analisi di soluzioni globali, come i futures sul tempo ci insegnano. Sarebbero uno strumento per ridurre gli impatti negativi sul mercato.

    Ritengo sia giunto il momento di applicare fino in fondo gli strumenti del Pacchetto Latte, perché come ha ben scritto Ermanno Comegna, non ha dato la scossa che ci si attendeva.
    Bisogna superare, soprattutto o quasi esclusivamente a livello nazionale, le divisioni fra organizzazioni di produttori, sindacati agricoli, poltronifici di sorta, che spesso distolgono l’attenzione dal vero scopo della rappresentanza, che è appunto “rappresentare” le diverse categorie della filiera.

    Quanto all’elemento export, mi limito a rimandarvi al comunicato di oggi dell’assessore lombardo Fava (che trovate sul sito dell’Agricoltura della Regione Lombardia). È giunto il momento, dice Fava, che i consorzi di tutela, le cooperative e l’industria di trasformazione, pur mantenendo ciascuno la propria autonomia, operino sui mercati esteri in sinergia. Marciare uniti, insomma. Palazzo Lombardia si è candidato ad ospitare un primo vertice e la Regione potrebbe essere un valido moderatore per un piano di internazionalizzazione dei formaggi del Nord, preso atto che i maggiori volumi di latte prodotti sono in Lombardia e nella Macroregione agricola del Nord, comunque la si voglia chiamare.

    Matteo Bernardelli

  3. giorgio garofolo scrive:

    Sono domande decisive, e non solo per il settore del latte, quelle su cui Leo Bertozzi ci invita a riflettere.

    In primo luogo, è singolare che in una situazione in cui i problemi nascono dalla debolezza della domanda vengano attuate riforme che aumenteranno l’instabilità del sistema. La fine del regime delle quote latte e la conseguente liberalizzazione sono state presentate come strumenti per migliorare l’efficienza economica, ma sulla base delle esperienze di questi ultimi venti anni è difficile credere alle virtù autoregolatrici del mercato. I mercati, di per sé, sono imperfetti. Presentano innumerevoli problemi, per esempio dal punto di vista della concorrenza, della volatilità, dell’informazione …
    Quindi è indispensabile AGIRE per regolarli. Come?
    E’ evidente che l’ambito politico risulta essenziale, ma a che livello? E in quali direzioni?
    Le recenti interviste del Ministro dell’Agricoltura Italiano sono piene di dichiarazioni di buona volontà, anche condivisibili, ma si fatica a trovare linee d’intervento concrete (e non solo dichiarazioni di principio) in grado di guidare e di gestire la trasformazione della filiera del latte in modo da salvaguardare e valorizzare le “evidenti peculiarità” italiane che Comegna nel suo commento ha correttamente individuato.
    Certamente, un errore da evitare è quello di innescare conflittualità (macro)regionali. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una ennesima disputa Stato/Regioni in sede di trattativa comunitaria.
    Serve capacità di fare sistema e di superare i particolarismi non solo per affrontare in modo efficace i mercati internazionali ma anche per far sentire la propria voce in modo autorevole sul Trattato transatlantico sul commercio e sugli investimenti (Ttip) che si sta negoziando in questi mesi in assoluta segretezza.
    È questa l’ultima frontiera della liberalizzazione dei mercati. È a questo livello che si discutono le norme essenziali per la sicurezza alimentare, per la tutela dell’ambiente e dei consumatori. E lo scopo non è quello auspicato da Leo Bertozzi, cioè mettere a punto “strumenti regolatori globali” in grado di contrastare la volatilità, ma piuttosto garantire campo libero ad imprese globali. Non un accordo di libero scambio ma un accordo di gestione del commercio che favorisca specifici interessi economici.
    Se il Ttip andasse in porto, le conseguenze per l’intero settore lattiero caseario italiano sarebbero pesantissime, soprattutto rispetto alla qualità e al legame territoriale dei prodotti.

    Mancano quattro mesi all’inizio dell’Expo di Milano e già da febbraio inizieranno convegni, dichiarazioni solenni e firme di protocolli alimentari. Non potrebbe essere questa un’occasione per ribadire con forza le ragioni, i problemi e le richieste della filiera del latte italiano? Per organizzare una presenza in grado di superare i discorsi di circostanza e di confrontarsi con una platea internazionale sulla riorganizzazione che si vede all’orizzonte?

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