Insieme, con forza, promuoviamo il Made in Italy nel Mondo [Intervista ad Antonio Auricchio]

Antonio Auricchio – Presidente di Gennaro Auricchio S.p.A.

Antonio Auricchio – Presidente di Gennaro Auricchio S.p.A.

Se pensate che Auricchio sia ancora sinonimo di Provolone, allora probabilmente siete rimasti molto indietro, ai tempi della procacissima Ela Weber e di altri tormentoni pubblicitari che hanno fatto sì che il nome di Auricchio fosse inscindibilmente collegato al Provolone. Oggi il nastro è andato molto avanti.

Nell’Anno Domini 2020, se dici Auricchio vai ben oltre il Provolone, che rimane il grande simbolo della famiglia che dalla Campania ha fatto base a Cremona da più di un secolo. La produzione spazia dal Gorgonzola alla Mozzarella vaccina, dal Taleggio al Quartirolo, al Salva Cremasco, al Parmigiano Reggiano, al Pecorino Romano, con stabilimenti sparsi sui territori a maggiore vocazione casearia. “Grandi eccellenze di un Made in Italy lattiero caseario che ha la medesima dignità e che deve essere promosso insieme, con forza, nel mondo”.

A dirlo è Antonio Auricchio, alla guida del gruppo insieme ai fratelli Giandomenico e Alberto. Antonio è anche vicepresidente di Assolatte e fresco di nomina del presidente del Consorzio del Gorgonzola, una delle eccellenze casearie italiane, conosciute in tutto il mondo. Chi lo conosce sa che è un fiume in piena, perché incontenibile è la sua passione nel lavoro, strettamente connessa a una visione industriale del settore lattiero caseario. Tanto che invita i colleghi a organizzare un “Industrial Pride, per mostrare l’orgoglio di essere imprenditori”.

Partiamo da qui. Quali sono gli obiettivi e le sfide del Consorzio?

“In un anno così difficile dove l’export si è abbastanza fermato e il canale Horeca è stato un disastro, dobbiamo rimanere vigili, perché le difficoltà sono molte e lo scenario è complessivamente negativo. Se guardo in casa, proprio poco prima del lockdown avevamo acquistato un caseificio a Novara. Con il confinamento il crollo delle produzioni fra marzo e aprile ha toccato l’80 per cento. Vengo al punto: il 37% del fatturato complessivo del Gorgonzola va all’estero e l’obiettivo è aumentare volumi e quote di mercato. Ma dobbiamo muoverci in maniera diversa rispetto al passato”.

Come?

“Dobbiamo individuare un progetto comune e partire. Per questo, insieme a un gruppo di imprenditori, abbiamo incontrato i vertici dell’Ice e i responsabili delle principali sedi estere, perché vogliamo portare il nostro contributo di esportatori e individuare soluzioni per aprire nuove strade ai nostri grandi prodotti Made in Italy”.

Quali sono i limiti del Made in Italy agroalimentare?

“Siamo come il ghepardo: acchiappiamo la preda, ma non riusciamo a trattenerla. Così è l’industria italiana, che dovrebbe porre le basi per un export sempre più forte, continuativo, crescente e soprattutto tutelato. Ad esempio, in alcuni paesi la denominazione Gorgonzola può essere utilizzato per altri formaggi erborinati e non esclusivamente per il nostro Gorgonzola Dop, poiché il marchio, ahimè, in passato non è stato registrato. Dobbiamo spiegare all’estero che il Parmigiano Reggiano non è una nicchia del Parmesan e che la mozzarella non l’ha inventata Pizza Hut. Abbiamo una missione che è culturale, perché i nostri formaggi raccontano una storia antica dell’Italia, prima ancora che imprenditoriale, in modo da far capire il valore del Made in Italy rispetto alle produzioni di imitazione. Anche per questi motivi, quando i colleghi mi hanno proposto la presidenza del Consorzio del Gorgonzola, ho accettato. Ritengo di avere l’età, la conoscenza e l’esperienza giusta per mettere al servizio del settore la mia storia e la mia visione”.

In ambito di Assolatte segue le produzioni Dop, ruolo che le permette di monitorare le grandi produzioni casearie italiane. Come è opportuno muoversi in questo frangente post-Covid?

L’Italia è una immensa tavola imbandita

“Non vorrei chiamarlo post-Covid, perché ci siamo ancora dentro. Chiedo però ai consorzi di tutela di essere molto uniti, di collaborare insieme. Abbiamo più che mai una missione: far capire che l’Italia è una immensa tavola imbandita, con prodotti fra loro molto diversi anche a livello di gusto, ma con grandi eccellenze che hanno una storia millenaria e una qualità elevata. Dobbiamo comunicare questo appeal”.

Avete diversi stabilimenti, trasformate il latte in molti prodotti. Come mai questa scelta?

“È stato un percorso naturale. Quando parlavo con i clienti mi rivolgevano sempre le stesse domande: Chi fa la mozzarella per lei? Dove compra il pecorino romano? Questo perché avevamo un nome e ci identificavano con un brand di qualità, in grado di offrire serietà. A quel punto ho consigliato ai miei fratelli di scendere in campo con delle acquisizioni e produrre direttamente noi. E così produciamo Mozzarella, Taleggio, Pecorino Romano, Gorgonzola, Quartirolo, Salva Cremasco, caciotta di pecora, ricotta. Questo ci ha permesso anche di ottenere un vantaggio pratico”.

Quale?

“Che quando un prodotto non va, dirottiamo il latte su altre destinazioni, sempre garantendo l’efficienza dei processi produttivi e la qualità dei prodotti”.

Avete altri acquisti nel mirino?

“Per ora no, ma mai dire mai. Solo pochi mesi fa non pensavo di acquistare un caseificio, poi invece lo scorso 26 febbraio abbiamo acquisito una struttura che produce mozzarella vaccina con solo latte italiano e anche di bufala con latte proveniente dagli allevamenti del Nord. Non dobbiamo mai considerarci arrivati o, peggio, imparati, come si dice a Napoli. Dobbiamo essere vigili e attenti, perché si impara di più dalle critiche che dalle lodi”.

Qual è la forza dell’impresa familiare?

Cerchiamo di ragionare come una piccola multinazionale

“Normalmente alla terza generazione le aziende si sfaldano. Noi siamo alla quinta e ci consideriamo una famiglia non solo fra noi fratelli, ma anche con i nostri 700 dipendenti. Non ne abbiamo mai licenziato uno. Cerchiamo di ragionare come una piccola multinazionale, anche perché siamo presenti in circa 70 paesi nel mondo. Allo stesso tempo, noi tre fratelli ci occupiamo di attività differenti. Ciascuno ha il proprio ruolo”.

Che progetti di innovazione avete?

“Negli ultimi 7-8 anni abbiamo investito nel gruppo oltre 100 milioni di euro. Dobbiamo mantenere la produzione artigianale, ma adattandoci alle esigenze del consumatore, anche in materia ambientale e di sostenibilità. Per questo abbiamo investito nelle energie rinnovabili e abbiamo appena investito in un secondo cogeneratore”.

Fonterra ha annunciato che pagherà secondo il parametro della sostenibilità…

Diamo un premio più il latte è bianco

“Il futuro è quello. Il gruppo Auricchio è molto attento alla sostenibilità e alla qualità del latte, che passa anche attraverso il rispetto del benessere animale. Pensi che diamo un premio più il latte è bianco. Sa come ho fatto? Ho adattato una macchina che misura le tonalità di bianco delle piastrelle. L’ho adattata per il latte. Come imprenditori abbiamo l’obbligo di innovare e di inventare, quando serve”.

Davvero avrebbe voluto fare il medico?

“Sì, ma poi mi sono laureato in legge. Mi sembrava di fare un affronto all’azienda di mio padre a lavorare altrove. Posso dire oggi che non mi poteva capitare nulla di meglio”.

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Matteo Bernardelli
Informazioni su

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

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