Latte e formaggi italiani: raggiungere un equilibrio

Francesca Colla, Colla S.p.A. - Controllo Qualità  intervenuta all'incontro sulla Sostenibilià organizzato da TESEO (CLAL)

Francesca Colla – Controllo Qualità, Colla S.p.A.
intervenuta all’incontro sulla Sostenibilià organizzato da TESEO (CLAL) nell’aprile 2016

Con una laurea in Agraria e scienza e tecnologie alimentari conseguita all’Università Cattolica di Piacenza e un dottorato in Biotecnologie applicate all’Università di Verona, Francesca Colla ha costruito studiando la propria posizione nell’azienda di famiglia a Cadeo, nel Piacentino. In organico dal 2010, oggi si occupa del percorso legato a qualità e produzione, legato alle varie aree produttive.

Nel 2015 la Colla Spa ha fatturato circa 260 milioni di euro, ottenuti dalla vendita di Grana Padano, Parmigiano-Reggiano e altri formaggi duri in forme intere e porzionati. Il 17% del valore è frutto dell’export; la produzione di Grana Padano e Parmigiano-Reggiano si aggira intorno alle 140.000 forme all’anno.

Quali sono le sfide attuali del sistema lattiero caseario italiano?

“Bisogna raggiungere un equilibrio per ritrovare quanto è stato perduto. Noi oggi purtroppo paghiamo la conseguenza del fatto che nulla di concreto è stato previsto per prevenire il crollo dei mercati, conseguente alla fine del regime delle quote latte. Eppure si conosceva da tempo la data della fine delle quote. Ora ci ritroviamo a fare i conti con un surplus di latte preoccupante, con l’embargo russo che non ha fatto altro che aggravare la situazione”.

Come si potrebbe contenere la produzione di latte a livello europeo?

“Il termine contenere ha in sé il messaggio di una limitazione. Bisognerebbe piuttosto parlare di una regolamentazione delle produzioni, per permettere alle aziende che operano bene, razionalizzando il proprio sistema produttivo di sopravvivere e allo stesso tempo di crescere. Certo non ha convinto l’invito della Commissione europea a fare ricorso all’articolo 222 del Trattato del Mercato unico (che consente alle associazioni del settore e alle cooperative di accordarsi per dare un taglio alle produzioni di latte con l’obiettivo di equilibrare il rapporto fra domanda e offerta; il tutto su base volontaria, ndr)”.

Perché non l’ha convinta?

“Perché trovarsi dopo poco più di un anno dalla fine delle quote a introdurre limitazioni alla produzione è un paradosso, e segnale che questa situazione, ripeto, poteva essere meglio gestita. È impensabile che manchi un coordinamento tra la produzione primaria e il mercato della trasformazione”.

Lei è favorevole ai tetti produttivi delle Dop?

“Bisogna che ci sia un coordinamento assoluto tra le parti produttive e la filiera a valle. Credo sia stato commesso un errore di base”.

Cioè?

“Con la fine delle quote latte gli allevatori si sono sentiti liberi di aumentare le produzioni, ma le Dop italiane, principale bacino di raccolta del latte prodotto su territorio nazionale, i piani produttivi ancora li hanno. Era evidente che si sarebbe creato una sorta di scompenso, al punto che negli ultimi mesi i contratti di conferimento del latte formulati delle maggiori aziende di raccolta hanno previsto due diversi valori di pagamento per il latte prodotto secondo l’ultimo anno in cui le quote erano in vigore e un pagamento fuori quota, con un prezzo di riferimento molto più contenuto, annullando di fatto il percorso di realizzazione di economie di scala che diversi allevatori erano pronti a porre in essere in presenza di un’auspicata e maggior flessibilità dei piani produttivi Dop”.

Nei giorni scorsi il Direttore generale del Consorzio di tutela del Grana Padano, Stefano Berni, ha parlato di unire alcuni servizi dei consorzi di tutela, per renderli più efficienti e contenere i costi (lotta alla contraffazione, tutela legale, marketing, comunicazione). È possibile?

“Certo, sono convinta che sia molto importante il coordinamento fra consorzi di tutela. Ha detto bene il direttore del Consorzio del Grana Padano: vi sono molti aspetti comuni, come appunto la lotta alla contraffazione o la promozione dei prodotti all’estero, soprattutto adesso che il mercato italiano stenta. Se si riducono le spese e si mettono insieme le forze si riesce a ottimizzare l’attività”.

La sua azienda adotta metodi per ridurre il consumo idrico o energetico?

“Se mi chiede se abbiamo messo in piedi una procedura strutturata con sistemi innovativi atti a ridurre il consumo dell’acqua o dell’energia le rispondo di no. In realtà tutti operiamo quotidianamente affinché i consumi siano i più contenuti possibili, cercando di sfruttare le fasce orarie migliori; lavorare in modo efficiente per la nostra azienda significa avere attenzione a questi aspetti nel loro insieme e ogni giorno”.

Che cosa suggerisce agli allevatori per produrre in maniera più sostenibile?

“Agli allevatori non posso suggerire nulla, perché, occupandomi di altro, sul versante della trasformazione, non voglio sbilanciarmi su un terreno che non è il mio. Come industria lattiero casearia dovremmo operare per cercare di individuare le soluzioni migliori nella trasformazione, che è il nostro mestiere”.

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Matteo Bernardelli
Informazioni su

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

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Pubblicato in Export, Formaggio, Italia, Sostenibilità

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