Biocapacità UE: ridurre l’impatto sui Paesi fornitori

Oggi si fa tanto parlare della transizione verso un’economia circolare ed efficiente nell’uso delle risorse, socialmente inclusiva, orientata alla promozione dello sviluppo sostenibile. Ormai i sistemi agroalimentari si basano sugli scambi commerciali a scala mondiale dei prodotti commodity così come delle materie prime. Di conseguenza i comportamenti di consumo e le normative nei mercati di destinazione sono strettamente correlati alle attività nei Paesi produttori. Occorre dunque valutarne l’interdipendenza, collegando cause ed effetti per la sostenibilità in regioni geograficamente distanti, tenendo conto del potere contrattuale esercitato dai Paesi importatori ad economia avanzata.

UE grande mercato

L’UE è un attore fondamentale in questo rapporto di interdipendenza essendo un grande mercato per commodity agricole quali Soia, Caffè, Cacao, Olio di Palma, Banane, la cui coltivazione è spesso correlata ad impatti ambientali negativi quali la deforestazione. Si calcola che con le importazioni di Soia ed Olio di Palma ottenuti attraverso l’espansione delle coltivazioni nelle regioni tropicali, l’UE sia responsabile per il 61% della deforestazione globale, riducendo la biodiversità e la sequestrazione del carbonio. Il cosiddetto Policy Coherence for Development (PCD), ovvero la norma introdotta col trattato di Maastricht nel 1992 e reiterata nel 2017 con l’adesione all’Agenda 2030 ONU, impegna UE e Stati membri a tenere conto degli obiettivi di sostenibilità nelle politiche che possono avere un impatto nei Paesi produttori.

Da uno studio di università tedesche che ha preso in esame questa interdipendenza, i Paesi particolarmente sensibili alle politiche europee risultano essere Indonesia, Malesia e Papua Nuova Guinea che coprono l’89% in valore delle importazioni UE di Olio di Palma e Mauritius, Fiji, Barbados, Guyana, Eswatini (ex Swaziland), Bahamas, Paesi del gruppo ACP (Africa, Caraibi, Pacifico), che rappresentano oltre l’80% dell’import totale UE di Zucchero. Poi ci sono le importazioni di Cereali e Semi Oleosi dall’Europa orientale e dall’Asia centrale, Russia, Ucraina, Kazakistan, Moldavia, Bielorussia e Serbia. Per il solo Girasole il 38% della superficie totale coltivata in Ucraina e Russia (prima della guerra in corso), era dedicata alle esportazioni verso l’UE. Poi ci sono i Paesi dell’area mediterranea, Marocco, Tunisia, Egitto, ma anche la Turchia che rappresenta l’84% dei terreni per la produzione di Nocciole importate nell’UE.

Oltre la propria biocapacità

Tale situazione pone evidenti criticità, dunque occorre veicolare le relazioni commerciali, ad esempio regolando la domanda di prodotti agroalimentari correlati a diete sane, ma anche all’allevamento animale. Meccanismi coerenti possono essere tassazioni come il Carbon Border Adjustment Mechanism per compensare le distorsioni nell’applicazione dei parametri di sostenibilità. In sintesi, l’UE sta attualmente superando la propria biocapacità, esternalizzando i costi dei propri modelli di produzione e consumo ad altre regioni. Guardando al comune interesse su scala mondiale, occorre consentire ai Paesi con il PIL più basso di emanciparsi dal ruolo di fornitori di biocapacità, sostenendoli nello sviluppo delle loro economie al di là dell’agricoltura per la produzione di commodity, verso attività e servizi sostenibili a valore aggiunto.

Questo perché siamo tutti sulla stessa barca.

 Fonte: One Earth

CBAM e Fertilizzanti per l’UE-27 e l’Italia - TESEO.clal.it

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Leo Bertozzi
Informazioni su

Agronomo, esperto nella gestione delle produzioni agroalimentari di qualità e nella cultura lattiero-casearia.

Pubblicato in Agricoltura, Alimentazione, Approvvigionamento, Aree geografiche, Biodiversità, Sostenibilità