Bertinelli: ecco il piano per Parmigiano Reggiano [intervista]

Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano

Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano

Parla velocissimo, tanto che anche le dita, pur abituate a scrivere sul tamburo, non riescono a tenere il ritmo delle parole. E poi, mescola termini anglosassoni, figlie anche di una specializzazione conseguita all’Università di Guelph, in Canada, a locuzioni latine, che per un’avversione atavica del cronista alla lingua di Virgilio, sfuggono senza lasciare traccia.

Per essere chiari: la sensazione che si ha nel parlare con Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano, è quella di avere a che fare con un vulcano. La sfida è quella di “riempire la brand equity del Parmigiano Reggiano, cioè di dare il valore che merita a questo formaggio”.

Dobbiamo superare i conflitti interni, che non fanno bene al prodotto


Il messaggio preliminare è estremamente chiaro. “Non sono il presidente dell’industria di trasformazione o contro qualcuno – afferma Bertinelli -. Quello che desidero fare è coagulare attorno al prodotto tutti quelli che ci credono e ragionare su una logica diversa di quella che c’è stata in passato, dove le etichette dell’industria o del sindacato agricolo erano un tratto molto evidente. Dobbiamo superare i conflitti interni, che non fanno bene al prodotto”.

Qual è la sfida del Consorzio?

Collocare il prodotto a un prezzo remunerativo. Nel 2015 abbiamo prodotto 3,3 milioni di forme, una produzione che, se teniamo conto di una stagionatura media di 22 mesi, è in fase di collocazione ora. Se non cambiano le variabili in gioco, possiamo dire che 3,3 milioni di forme è la quantità che possono essere collocate sul mercato, garantendo alla filiera una remunerazione adeguata”.

Perfetto. Ma la produzione 2016 e 2017 è cresciuta.

3,47milioni di forme, prodotte nel 2016,
saranno commercializzate nel 2018


“Sì. Nel 2016 abbiamo prodotto 3,47 milioni di forme, che saranno commercializzate nel 2018. Nel 2017 toccheremo i 3,65 milioni di forme. Questo significa che nel 2018 dovremo collocare 170mila forme in più e nel 2019 altre 180mila forme in più rispetto al 2018. Vale a dire, 350mila forme in più rispetto all’equilibrio di mercato, pari al 10% in più rispetto alla produzione attuale”.

Non è facile. Come pensate di fare?

Spiegheremo ai consumatori che il nostro prodotto è insostituibile


“No, non è facile, ma non tutti gli uragani sono come Kathrina. Costruiremo la nostra strategia su quattro pilastri. Innanzitutto, il mercato nazionale: ci sono 3,5 milioni di famiglie fedelissime al Parmigiano Reggiano, 3,9 milioni al Grana Padano e 14 milioni di famiglie che comprano indistintamente uno o l’altro. Significa che noi non siamo stati molto bravi nel passato a far capire la distintività del Parmigiano Reggiano. Dobbiamo pertanto mettere in campo azioni di riposizionamento della marca, comunicando ai consumatori e riempiendo di contenuti la marca Parmigiano Reggiano. La nostra brand equity è altissima, ricca di contenuti, anche nuovi, da individuare e meglio trasmettere, ma dobbiamo spiegare che il nostro prodotto è insostituibile”.

È per questo che avete avviato una nuova campagna di comunicazione?

“Sì. La nuova campagna continuerà fino alla fine dell’anno, con 2.447 spot, il 57% dei quali in prime time dalle 19 alle 20,30 uniti a una campagna stampa, all’utilizzo dei social media, in modo tale che i sette target di consumatori potenziali di Parmigiano Reggiano abbiano un messaggio specifico, loro dedicato, che sia rilevante in un canale di comunicazione che ascoltano”.

Chi sono i grandi consumatori di Parmigiano Reggiano, che avete mappato?

“Sono chi va a fare la spesa per la famiglia, ma anche l’amante della cucina, le neomamme, non dimentichiamo che abbiamo 500mila nuovi parti ogni anno in Italia, i bambini e neonati all’inizio dello svezzamento, sportivi e anziani. Abbiamo identificato tutti i segmenti e a ognuno di loro è dedicata una comunicazione specifica, veicolando un messaggio per essi rilevante, su un canale media da loro seguito. Faccio un esempio: agli sportivi facciamo sapere che il Parmigiano Reggiano, in base agli studi, è un alimento ideale per la rigenerazione muscolare conseguente a uno sforzo agonistico. È un messaggio specifico di un beneficio concreto. La campagna non si fermerà al 2017, ma, anzi, il Consorzio tornerà a investire somme importanti anche nel 2018. A questo aggiungeremo specifiche attività in-store”.

A cosa si riferisce?

“Stiamo chiudendo accordi con i principali centri distributivi, in modo che il consumatore abbia un messaggio che entra nei punti vendita. Con un claim che spacca: il Parmigiano Reggiano, quello vero, è un solo e insostituibile”.

Quanto investirete?

“Tre milioni di euro nella fase 29 ottobre-31 dicembre 2017. Vogliamo conquistare clienti dal bacino di 14 milioni di consumatori che acquistano invariabilmente Parmigiano Reggiano e Grana Padano. Posso ritornare a elencare i pilastri sui quali intendiamo fondare il nostro rilancio?”.

Una strategia costruita su quattro pilastri: il mercato nazionale, l’export, la lotta alla contraffazione e le vendite dirette


Prego.

70%dell’export
è assorbito da
Francia, Germania,
Regno Unito, Canada e Stati Uniti


Oltre al mercato nazionale, ci concentreremo sull’export. E non tutto il mercato estero è uguale. Oggi esportiamo il 38% della nostra produzione. Il 70% di quanto vendiamo all’estero si consuma in Francia, Germania, Regno Unito, Canada e Stati Uniti. La Cina non ha vocazione al consumo di formaggio. Questo non significa che resterà fuori dai paesi target, ma allo stesso tempo dovremo individuare strategie precise, in base alle priorità reali”.

Sareste disponibili a costituire alleanze con altri prodotti agroalimentari Made in Italy per rafforzare le strategie di export?

All’estero non siamo disposti a unire gli sforzi con prodotti potenzialmente percepiti come vicini al Parmigiano Reggiano


“Certamente. All’estero si apprezza l’Italian Style e credo che si potrebbero costruire partnership molto interessanti. Allo stesso tempo, non siamo disposti a unire gli sforzi con prodotti potenzialmente percepiti come vicini a noi e generare, di conseguenza, confusione in un consumatore non completamente educato a percepire tutte le sfumature”.

Che problemi potrebbe generare la Brexit?

“Nessuno può prevederlo, ma quando si limitano le aree di libero scambio, sarà più difficile esportare. Tuttavia, il Regno Unito conosce molto bene il nostro prodotto e credo che il consumatore fedele al Parmigiano Reggiano, anche se ipoteticamente dovesse pagarlo di più per l’effetto Brexit, difficilmente cambierà prodotto”.

Sul Ceta, l’Accordo di libero scambio fra Ue e Canada, che in verità si riferisce all’agroalimentare per meno del 5% del negoziato, il sistema si è diviso. Lei cosa pensa?

“Stiamo ancora cercando di capire come stanno le cose, perché è stato un accordo gestito in un modo poco trasparente. Attualmente possono essere importati annualmente dall’Ue 14mila tonnellate di formaggi, senza pagare dazi e le previsioni sono di crescere nei prossimi 3-6 anni fino a 30mila tonnellate. È evidente che, stando così le cose, almeno sulla carta prevediamo di incrementare le esportazioni, oggi intorno alle 50mila forme di Parmigiano Reggiano. Accanto però al dazio zero, si inserisce una questione di licenze all’import, per le quali invece gli operatori dovranno pagare le quote, con ripercussioni sui prezzi di ingresso. Questo potrebbe limitare le nostre esportazioni, ma è ancora troppo presto per dirlo. Di certo Canada e Stati Uniti sono per noi mercati interessanti. Se guardiamo ad esempio agli Usa, credo ci possano essere molti spazi nel segmento del food service, perché gli americani fanno almeno un pasto al giorno fuori casa. Sempre inerente all’export, il Consorzio cercherà di sviluppare il proprio business in quei paesi che hanno un consumo consolidato di formaggio, ma sono vergini per il Parmigiano Reggiano”.

Quali, ad esempio?

Le potenzialità per un Parmigiano Reggiano kosher sono altissime


“Pensiamo ai Paesi del Golfo, all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti, a Dubai, che danno un grande valore agli aspetti cosiddetti healthy del prodotto. In quelle zone il nostro formaggio è visto come un prodotto buono, sano, genuino, ma anche un piccolo lusso che tutti possono permettersi. Fra l’altro, non dimentichiamo che Dubai ospiterà l’Expo 2020. Sono stato recentemente a Tel Aviv: le potenzialità per un Parmigiano Reggiano kosher sono altissime”.

Dopo l’export, quali sono gli altri pilastri?

“La lotta alla contraffazione. È per questo che abbiamo istituito una sorveglianza giorno e notte delle 34 linee degli impianti di grattugia, in modo da garantire che tutto quello che viene commercializzato come Parmigiano Reggiano, effettivamente lo sia. Prima di questi controlli c’erano circa 60mila forme di sbiancato che attualmente sono fuori dal circuito del grattugiato. Oggi le forme in grattugia sono 420mila”.

Quarto pilastro?

“Le vendite dirette. Ma non mi riferisco solamente agli spacci aziendali, ma al caseificio che va direttamente sui mercati. Oggi sono circa 300mila le forme vendute direttamente. L’obiettivo è arrivare a 500mila nell’arco dei quattro anni, cioè la durata del mio mandato. Per vendite dirette dovremo anche sostenere formule quali le vendite online, la piccola catena dei supermercati, i ristoranti, tenendo ben presente che i consumatori sono molto più fedeli a un’esperienza che non al messaggio. Caseifici aperti ha questa logica e, grazie a tale iniziativa, siamo riusciti a portare a visitare le nostre strutture quasi 35mila persone. Abbiamo da poco realizzato l’iniziativa Parmigiano Reggiano Night, che ha coinvolto in tutta Italia circa 400 ristoranti di medio e alto livello, che hanno predisposto un menù con il nostro formaggio come base”.

La spaventa la concorrenza dei generici?

“No. Stiamo riempiendo di contenuti la nostra marca e sono tutte caratteristiche rilevanti. Magari dieci anni fa non fregava niente a nessuno, ma non avere conservanti, produrre con un forte risparmio idrico, non usare concimi o pesticidi, significa non avere residui nel latte. La medica è una coltura azoto-fissatrice; il nostro sistema di allevamento ci permette di preservare la biodiversità, gli insetti e gli uccelli. Il nostro paesaggio non conosce pareti di cemento per stivare gli insilati. Sono caratteristiche che, d’ora in avanti, andremo a promuovere”.

Nel suo curriculum ci sono anche gli studi a Guelph. Che cosa ha imparato dall’esperienza all’estero?

“Ho assimilato i metodi quantitativi. In Italia quando fai l’università, sei pieno di concetti, in Canada c’è una sorta di bottom-line: qualsiasi strategia deve essere tradotta in un numero. Il principio filosofico o concettuale deve esser scaricato a terra in un numero. È molto utile, è stata un’esperienza che mi è servita”.

In occasione dell’incontro di Trento promosso da  TESEO sul tema “La Sostenibilità nella filiera lattiero casearia Trentina” è emersa una domanda: stalle grandi o stalle piccole? Per la montagna reggiana e parmense quale opzione scegliere?

Per l’allevatore, l’importante è ottimizzare i costi di produzione e generare economie di scala


“Non c’è una risposta univoca. L’importante, per l’allevatore, è ottimizzare i costi di produzione e generare economie di scala. Allo stesso tempo, sono indispensabili politiche per il mantenimento degli allevamenti in montagna, perché il territorio deve essere presidiato. Oggi il 30% del Parmigiano Reggiano è prodotto in montagna e per noi è un grande risultato. In questo scenario diventa imprescindibile, per il Consorzio, che le stalle rispondano ai requisiti, anche di alimentazione, previsti dal disciplinare della Dop”.

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Matteo Bernardelli
Informazioni su

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

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