Granarolo: efficienza e innovazione per ripartire [Intervista al D.G. Marchi]

Filippo Marchi - Direttore Generale di Granarolo

Filippo Marchi – Direttore Generale di Granarolo

Granarolo Spa non è solo un’importante realtà del settore lattiero-caseario italiano, ma anche un singolare esempio di  società per azioni detenuta da una cooperativa. In virtù di queste caratteristiche, abbiamo intervistato Filippo Marchi, Direttore Generale, che ci illustra come sono andate le vendite in Italia ed all’estero durante il lockdown, e come potrebbe evolvere la situazione in futuro secondo il punto di vista di Granarolo.

Direttore Marchi, partiamo dall’Italia. Come sono andati i consumi nelle settimane di lockdown?

“Complessivamente i consumi hanno avuto dinamiche differenti rispetto ai canali di vendita. Direi che è stata positiva la parte relativa al retail, con un aumento complessivo dal 13% al 15% nel periodo Covid e che nella fase successiva si sta progressivamente ridimensionando. La GDO, nel suo complesso, ha registrato le performance migliori. Se poi guardiamo al lattiero caseario, l’andamento complessivo deve essere analizzato nei vari segmenti. Hanno performato bene i prodotti con una più lunga shelf-life, superiore ai 10-15 giorni. Di contro, i consumi di latte fresco si sono ridotti, a causa proprio della shelf-life ridotta. Comunque, siamo andati meglio rispetto ai nostri principali competitor e non abbiamo mai avuto problemi di rotture di stock allo scaffale. Il trend migliore lo ha avuto la marca del distributore, che ha guadagnato anche un punto e mezzo rispetto ai prodotti a marchio”.

Sarà un trend che si manterrà anche successivamente, secondo lei?

“Difficile dirlo, perché il lockdown ha portato a dinamiche di consumo atipiche. Ci ha danneggiato l’azzeramento improvviso del consumo fuori casa, che per Granarolo pesa in Italia intorno al 35% e che la crescita del retail non ha compensato”.

All’estero come sono andate le vendite?

“All’estero il mercato per noi si suddivide per il 40% nel retail e per il 60% nel food service. Tutti i prodotti Dairy che si collocano fuori dalla realtà domestica si vendono nel contesto della cucina italiana e del consumo fuori casa. Abbiamo registrato una crescita importante della marca privata e del retail all’estero. In Francia produciamo con un marchio molto conosciuto che è Casa Azzurra e ha un peso del 70% nel retail e viene venduto da tutti i distributori. Gli effetti del lockdown sono stati simili a quanto avvenuto in Italia, solo posticipati. Naturalmente, su alcuni mercati dove siamo più esposti col fuori casa, abbiamo avuto un impatto importante, come nel caso del Brasile. In Europa si procede verso la normalizzazione, anche se non conosciamo bene le tappe. Abbiamo comunque già recuperato il 35% del fatturato perso e stimiamo di arrivare in settembre e ottobre a contenere la perdita intorno al 30%”.

E negli Usa?

“Negli Stati Uniti le cose stanno migliorando, ma l’impatto si è sentito, anche perché vendiamo prodotti italiani confezionati e snack”.

Come è possibile sostenere il prezzo del latte in questa fase?

“Per sostenere il prezzo del latte bisogna privilegiare prodotti che utilizzano latte italiano attraverso un’efficace attività di promozione e comunicazione che fa leva anche sull’italianità della materia prima. Durante i mesi di marzo e aprile, quando il fuori casa si è azzerato, il prezzo ha avuto delle importanti flessioni.  Ritengo occorra guardare nel lungo, noi pensiamo a una normalizzazione della situazione”.

Si tornerà in fretta a prezzi pre-Covid?

In questo momento è necessario focalizzarsi sull’efficienza

“La riapertura ha indubbiamente generato una maggiore richiesta di materia prima, ma non penso che si tornerà subito alla situazione precedente al confinamento. Credo che in questi momenti sia necessario focalizzarsi sul tema dell’efficienza. Se vogliamo valorizzare la materia prima credo sia importante individuare l’area di inefficienza, che per noi è la shelf-life dei prodotti”. Non entro nella querelle, ma Granarolo aveva avanzato una richiesta di aumentare la shelf-life per il fresco. Per quale motivo? “Abbiamo chiesto di dare la possibilità ai produttori di garantire la durata del fresco, che oggi è di sei giorni più uno. Chiedevamo, quindi, di liberalizzare la shelf-life, sotto la responsabilità del produttore, come avviene per tutti gli altri prodotti Dairy e come avviene in altri paesi. La durata attuale del latte fresco impone costi di filiera non indifferenti. Il consumatore, peraltro, si sta spostando su prodotti con durata maggiore. Su questi obiettivi stiamo provando a ragionare”.

Il mondo della cooperazione e dell’industria dovrebbe stringere alleanze? Quali opportunità potrebbero derivare?

“Certamente. Direi che Granarolo è il primo esempio di alleanza”.

In che senso?

“Noi rappresentiamo una società per azioni detenuta da una cooperativa. Ritengo che sia un modello vincente e penso che questa forma di collaborazione possa avere un futuro e rappresentare un esempio. Le singole cooperative hanno una logica di valore aggiunto nell’ambito produttivo di base, ma poi, se si devono gestire piani di medio e lungo periodo, non esprimono la massima efficacia.

L’integrazione fra cooperativa ed industria è un valore aggiunto

L’integrazione fra cooperativa e industria è un valore aggiunto. Quanto più si lavora alla valorizzazione di punti chiave che comprendono anche la logistica, la quantità, la valorizzazione delle materie prime, quanto più mettiamo insieme la supply chain e c’è efficientamento, tanto più valore i singoli attori della filiera portano a casa. L’esempio di Venchiaredo in Friuli è emblematico. Dopo l’acquisizione di Granarolo oggi è uno stabilimento per la produzione di paste molli nel Nord Est, con un piano industriale che prevede una crescita di volume nei prossimi 5-10 anni e i soci della cooperativa sono soddisfatti. La singola cooperativa non avrebbe mai avuto questa prospettiva. In verità ci sarebbero molti altri esempi, frenati da interessi di campanile”.

Durante il confinamento le modalità di vendita sono cambiate. Si modificherà di conseguenza in futuro anche il vostro modello distributivo e di vendita? Come svilupperete l’e-commerce?

“Siamo partiti nella fase di lockdown con servizi di e-commerce per la città di Bologna. Le persone anziane, come può intuire, avevano il problema di acquistare il latte quotidianamente, magari con una piadina, un po’ di prosciutto e il giornale. Registrando questo bisogno abbiamo elaborato un progetto sociale, allargando progressivamente il territorio di intervento e l’assortimento del portafoglio prodotti. Siamo partiti con una logica B2B, per portarla su un terreno B2C. Abbiamo costruito un sito web con la possibilità di pagare online e di acquistare prodotti a data corta in logica anti-spreco, come previsto anche dal Green Deal. D’altronde, l’azzeramento del fuori casa e il recupero di medio lungo periodo ha imposto una razionalizzazione della logistica. Stiamo lavorando per passare dalla logica della vendita di latte alla logica di gestione dell’ordine. E qui torniamo al tema della shelf-life: se estendiamo la durata dei prodotti abbiamo la possibilità di ridurre gli ordini e di liberare spazi e tempo di consegna”.

Dove orienterete gli sforzi in ricerca e sviluppo? Quali prodotti nuovi potranno essere proposti?

“Il peso dell’innovazione già oggi rappresenta il 20% del fatturato totale. Stiamo lavorando su una serie di ulteriori innovazioni. Vogliamo allungare la vita dei prodotti, con un impatto positivo sulla filiera, mantenendo la qualità del prodotto. Vogliamo lavorare sulla tecnologia, non sull’ingredientistica. Abbiamo in programma di proseguire sul fronte dell’innovazione del packaging. Abbiamo scongiurato la tassa sulla plastica, ma noi stiamo continuando a lavorare su un packaging sostenibile, garantendo gli stessi standard di sicurezza alimentare. In parallelo dobbiamo indirizzare il consumatore al riutilizzo della plastica, sostenendo anche con le istituzioni il percorso del riciclo. Inoltre, cerchiamo di dare del valore aggiunto al consumatore che sempre più spesso chiede prodotti con contenuti di lattosio, zucchero e sale ridotti. Siamo stati primi a ridurre il sale e fra i primi ad affacciarci al mondo del senza lattosio. Ancora in tema di innovazione vogliamo lavorare sulle nicchie, come il biologico”.

L’Italia deve continuare a sviluppare le produzioni tradizionali, formaggi DOP e altri prodotti legati alla storia della cultura casearia italiana oppure deve pensare ad inserirsi nel mercato dei nuovi prodotti come gli ingredienti derivati da latte e siero?

“Il valore delle nostre DOP investe direttamente il tema della valorizzazione del latte, da cui deriva il prezzo per gli allevatori. Non possiamo pertanto prescindere dalle 50 DOP del Dairy italiano. È un valore che va preservato. Parallelamente, c’è un mondo che va avanti, legato ad altri prodotti, che devono essere considerati come un’opportunità. Credo ci sia spazio per tutti. Il consumatore stesso lo richiede. Prendiamo ad esempio un prodotto come lo yogurt greco, che rappresenta il 15-20% dello yogurt tradizionale o i prodotti con meno sale o le creme spalmabili. Questo non significa ridurre lo spazio delle grandi DOP, che rappresenteranno sempre il grande formaggio italiano”.

Danone ha adottato la doppia strategia: latte e prodotti alternativi di origine vegetale. Può essere una strategia anche delle imprese italiane, in modo da organizzare sempre più la filiera, dalla produzione agricola a quella della trasformazione industriale?

“Parliamo di un mercato, quello vegetale, che è cresciuto molto, inizialmente, per poi registrare un calo e una successiva ridefinizione delle dinamiche. Abbiamo mostrato interesse al settore, oggi siamo il terzo produttore di latte vegetale in Italia. Realtà come Danone presidiano il mercato Dairy e vegetale in maniera funzionale. Possiamo prendere spunto da questi produttori, che hanno visione globale e che sanno intercettare i gusti dei nuovi consumatori. Rimane un dato di fatto, che è intrinseco alla nostra visione: Granarolo raccomanda una dieta equilibrata, sana e corretta che affianchi proteine animali e vegetali”.

Come si comunica alla generazione Z?

“Serve una comunicazione allo stesso tempo seria nei contenuti e gioiosa nei modi, e comunque sempre veritiera. Con la fase di confinamento fra i mezzi pubblicitari ha riconquistato terreno la televisione”.

Sul fronte del latte biologico ritiene che debba esserci un listino italiano? Di solito il riferimento oggi è legato alle quotazioni di Austria o Germania.

“Una premessa: Granarolo con Primavera Bio ha costruito nel 2000 la filiera del cosiddetto organic milk. Oggi per le quantità commercializzate penso che un listino del latte biologico italiano potrebbe essere un’idea e anche un mezzo per spingere qualche produttore a virare verso il biologico. Non bisogna sottovalutare il fatto che il biologico rientra nei progetti europei del Green Deal, con la Farm to Fork strategy che punta a incrementare il bio, il benessere animale, riducendo l’uso di farmaci e fitofarmaci”.

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Matteo Bernardelli
Informazioni su

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

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Pubblicato in Export, Latte, Strategie di Impresa