Pecorino Romano: nuove tipologie per nuovi mercati [Intervista al Presidente, Gianni Maoddi]

Gianni Maoddi - Presidente del Consorzio del Pecorino Romano

Gianni Maoddi – Presidente del Consorzio del Pecorino Romano

È uno dei grandi simboli delle DOP casearie italiane. Il Pecorino Romano costruisce il proprio futuro poggiando su basi solide e guardando in primo luogo all’Italia, senza dimenticare gli obiettivi di internazionalizzazione, verso il quale il Consorzio presieduto da Gianni Maoddi ha investito molte risorse, per esplorare mercati mondiali, consolidando comunque una leadership storica negli Stati Uniti.

Il Pecorino Romano non insegue la modernità, ma si adatta ai cambiamenti dei consumatori, alle nuove esigenze del mercato, fronteggiando le sfide dell’e-commerce, dell’alta cucina e cogliendo le opportunità che il binomio turismo e cibo possono offrire come leva per la promozione di un prodotto che, in epoca di pandemia, non ha mancato l’appuntamento con la solidarietà. Una scelta generosa che rispecchia l’anima degli allevatori.

Presidente Maoddi, come avete gestito la fase lunga della pandemia e come sta evolvendo la situazione?

“Durante questa lunga pandemia non ci siamo mai fermati. Anche in lockdown abbiamo lavorato tutti i giorni nei nostri caseifici, perché il latte va raccolto quotidianamente. Dal punto di vista dei mercati, non abbiamo subito contraccolpi negativi: il Pecorino Romano è un prodotto stagionato, dunque più facilmente conservabile rispetto ai freschi, che invece hanno avuto un tracollo. Una conseguenza però c’è stata anche per noi, perché a un certo punto ci siamo dovuti far carico del latte destinato, appunto, ai freschi, per trasformarlo invece in Pecorino Romano: dovevamo scegliere se permettere che quel latte andasse buttato o invece accollarcene la lavorazione, e abbiamo scelto questa seconda strada. Ci tengo a sottolinearlo: l’abbiamo fatto in modo del tutto volontario, innescando un meccanismo solidaristico che ha fatto bene a tutta la filiera. La situazione dunque è sotto controllo, e sta evolvendo senza particolari scossoni. Il Pecorino Romano è sempre più apprezzato sui mercati nazionali e internazionali, il prezzo mostra una costante tendenza al rialzo e abbiamo avuto un boom di vendite al dettaglio, spinte dal fatto che i consumatori, costretti a rinunciare al ristorante e dunque a cenare in casa, hanno cercato negli scaffali di botteghe e supermercati prima di tutto la qualità. E in particolare proprio la DOP, giustamente considerata l’unica, vera garanzia in questo senso”.

Quali saranno gli obiettivi del suo mandato?

Flessibilità e diversificazione per intercettare nuovi mercati

“Sicuramente continuare nel solco della diversificazione del prodotto. Tutti gli analisti economici sono d’accordo: per intercettare nuovi mercati bisogna essere flessibili e offrire prodotti che siano in linea con i gusti dei destinatari. Un percorso iniziato con le modifiche al Disciplinare, ormai un anno fa, che ha consentito la produzione di nuove tipologie di Pecorino Romano”.

Quali sono?

“Pecorino Romano di Montagna, Riserva a lunga stagionatura e a Ridotto contenuto di sale. Prodotti più delicati e particolari, per andare incontro ai consumatori più esigenti, ai rivenditori gourmet, e ideali per aperitivi e antipasti. Naturalmente, continuando a proporre il nostro prodotto classico, apprezzato in tutto il mondo. Sono profondamente convinto che il Disciplinare, per essere al passo con i tempi, debba restare aperto, debba cioè essere pronto a poter essere modificato e migliorato ogni volta che lo si ritiene opportuno, per andare incontro alle esigenze che di volta in volta si presentano”.

Gli Stati Uniti restano ancora il mercato estero privilegiato?

“Quello statunitense è un mercato molto importante per noi, ma mentre prima il Pecorino Romano ne era totalmente dipendente, adesso fortunatamente per noi non è più così. Certo il prodotto da grattugia è per l’America irrinunciabile: siamo praticamente gli unici a garantire formaggio ovino in una marea di produttori di formaggio vaccino. Non solo: il Pecorino Romano alimenta un segmento industriale (gli impianti per grattugiare il prodotto) e un indotto che sono vitali per gli Usa. C’è stato un calo nell’export negli ultimi mesi del 2020 rispetto al 2019, dovuto però all’effetto dazi, da noi evitati grazie a un duro e lungo lavoro sul campo: per paura di dover pagare nuove tasse, l’anno scorso c’è stata un po’ la corsa all’acquisto, i dati sull’export sono schizzati verso l’alto e quindi si sono accumulate scorte da smaltire. Adesso i dati sono tornati fisiologici, ovvero in linea con quelli del 2018. Contemporaneamente, puntiamo ad altri mercati. Quello statunitense è comunque un mercato che si può ancora espandere, soprattutto se riusciremo a proporre nuove tipologie di prodotto”.

A quali altri mercati state puntando?

Non solo Stati Uniti, ma anche Canada, Europa, Giappone e Cina

“Abbiamo investito 11 milioni di euro in cinque anni per quattro progetti che spaziano dal Giappone agli Stati Uniti, dal Canada alla Germania fino alla Francia e al Regno Unito, senza dimenticare l’Italia. Di recente il Pecorino Romano ha conquistato il podio in Europa con Pekorase Italia-Germania, progetto che si è classificato terzo fra le migliori proposte arrivate da tutti i Paesi Ue. E poi c’è la Cina, con una classe media in crescita, che apprezza moltissimo i prodotti europei autentici, e che cerca l’esclusività e l’originalità. Puntiamo perciò a un riscontro importante proprio da questa fascia di consumatori, come ha sottolineato la stessa Unione europea, forti anche dell’indiretto sostegno del Governo cinese, che sensibilizza continuamente la popolazione sull’opportunità di consumare cibi di alta qualità per garantirsi una buona salute. Insomma, c’è un gran fermento e tanto entusiasmo: credo che innovazione e internazionalizzazione siano le chiavi giuste per entrare, e restare, nel futuro dell’economia globale. Il Pecorino Romano piace, e noi dobbiamo essere bravi a valorizzarlo sempre di più”.

Il Consorzio ha annunciato di volersi espandere anche sul mercato italiano. In che modo e attraverso quali canali?

Primo obiettivo per il 2021: far crescere il Pecorino Romano in Italia

“È il nostro primo obiettivo per il 2021: far crescere il Pecorino Romano in Italia. Dopo la pandemia, ogni mercato, ogni paese tenderà a ripiegarsi su sé stesso, per proteggersi e favorire la ripresa: vogliamo farlo anche noi, per far conoscere sempre di più e meglio il nostro prodotto in Italia e allo stesso tempo aiutare la nostra economia. Il Pecorino Romano non è più solo un ingrediente o un prodotto da grattugia: grazie all’evoluzione degli ultimi anni, può vantare caratteristiche di prodotto da tavola eccellenti, ed è anche su questo che vogliamo puntare, per raggiungere rivenditori gourmet, pizzerie, locali per aperitivi, canali più di nicchia oltre che naturalmente la grande distribuzione. Quest’anno, insomma, vogliamo crescere a casa nostra: nei prossimi mesi, l’Italia sarà l’obiettivo centrale”.

Nel 2020 avete registrato un incremento delle produzioni. Come valorizzarle?

“Abbiamo sicuramente bisogno di mettere a punto tipologie di prodotto che assorbano altro latte, e per fare questo serve un’azione condivisa con gli altri consorzi. È importante fare rete, soprattutto in un momento storico-economico come quello che stiamo vivendo. Vorrei però precisare che il dato del primo trimestre della campagna di produzione 2020-2021, che registra un incremento della produzione pari all’81%, non ci spaventa. Perché, se in termini percentuali è alto, in quantità assolute rappresenta 10mila quintali in più, che in un mercato in equilibrio è una quantità gestibile. Sono dati che vanno visti in prospettiva, vanno cioè spalmati sull’intera produzione dell’anno e non rispetto al singolo mese o trimestre. Infatti, a gennaio 2021 l’incremento si è dimezzato e a febbraio si sta assestando sugli stessi valori dell’anno scorso. L’incremento è dovuto prima di tutto al clima, abbiamo avuto un autunno eccezionale, mite e piovoso. In diverse zone dell’isola, il bestiame è entrato in produzione in anticipo, proprio per queste condizioni climatiche particolarmente favorevoli, ma naturalmente l’inizio anticipato della produzione presuppone anche una fine anticipata”.

Filiera corta, e-commerce e turismo continuano a essere delle strategie vincenti? A quali condizioni?

“Di sicuro lo sono. La filiera corta è una realtà che già esiste nei nostri caseifici e che grazie a un numero limitato di passaggi produttivi, e in particolare di intermediazioni commerciali, ci porta ad avere un contatto diretto con il consumatore, al quale siamo sempre pronti a spiegare le caratteristiche del prodotto e offrire la nostra esperienza. Un contatto che, naturalmente, rafforza il rapporto di fiducia fra chi produce e chi consuma, quasi un sigillo ulteriore alla garanzia di qualità che offriamo. Naturalmente, l’e-commerce è il futuro: durante la pandemia le vendite online sono schizzate verso l’alto, ed è anche lì che dobbiamo guardare e concentrare i nostri sforzi, perché il mondo del commercio va esattamente in quella direzione. Ma filiera corta e e-commerce possono convivere tranquillamente, ciascuno con i propri canali e le proprie caratteristiche, entrambi tenendo sempre al centro l’alta qualità.

Per quanto riguarda il turismo, è chiaro che in questo momento è il comparto che più soffre. Ma appena si potrà riprendere a viaggiare, speriamo presto, accoglieremo di nuovo i turisti nella nostra Sardegna e spingeremo molto anche in questa direzione. Il turista è cambiato, cerca luoghi suggestivi, punta al viaggio esperienziale, è attento al cibo e quando torna a casa vuole riassaporare il gusto provato in vacanza, quasi a volerla rievocare. Quindi sicuramente è un settore in cui credere e su cui investire: turismo e cibo, un connubio che funziona”.

Il Consorzio che lei presiede è anche molto attento alla sostenibilità delle produzioni e dunque all’ambiente.

Misuriamo l’impronta ambientale del latte di pecora

“Assolutamente sì. Per citare solo l’ultima iniziativa, il Consorzio è partner del progetto europeo Life Magis, il marchio green del Ministero dell’Ambiente, che certifica la capacità di un’azienda di produrre inquinando poco e rispettando l’ambiente. Siamo gli unici in Italia a partecipare al progetto nel settore lattiero-caseario, per guadagnare il riconoscimento che interesserà l’intera filiera produttiva. È la prima volta, a livello internazionale, che verrà valutata la cosiddetta impronta ambientale nella produzione del latte di pecora, perché finora le valutazioni sono state fatte esclusivamente sul latte vaccino. Una sfida importante e avvincente per noi, che crediamo fortemente nel valore dell’ambiente e nella sua tutela come eredità per le future generazioni. Non a caso proprio l’ambiente è stato al centro del discorso del nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi che, riprendendo Papa Francesco, ha detto: Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta. Ecco, questo è anche un nostro obiettivo”.

Il boom dei prezzi delle materie prime ha generato un aumento dei costi? Come assicurare la giusta redditività agli allevatori?

“Sicuramente sta generando un aumento di costi. L’unico modo per assicurare la giusta redditività, ma questo vale in generale per ogni periodo, è garantire l’equilibrio della filiera, in tutte le sue componenti. Questo credo sia l’approccio più corretto: pensare alla filiera nel suo insieme e curarne ogni aspetto. Solo così può funzionare al meglio e solo così ciascun elemento della filiera a sua volta può godere di buona salute. Ovvero di quella stabilità che negli ultimi tempi siamo riusciti a raggiungere, che è il requisito principale a garanzia di tutti”.

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Matteo Bernardelli
Informazioni su

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

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