Il “fidanzamento” con Centro Veneto Formaggi, come lo chiama Alessandro Mocellin, Presidente di Latterie Vicentine, è durato quattro anni. Ed è andato a buon fine, dal momento che nei giorni scorsi si è concretizzata una delle partnership tra mondo della cooperazione e industria che è abbastanza rara, ma che per il nuovo polo che si è venuto a costituire – grazie a un simbolico scambio di quote – vale 100 milioni di euro che, recita il comunicato, “avrà la forza di produrre formaggi unici, specialità esclusivamente venete. Una proposta completa che comprende freschi, freschissimi, DOP e formaggi della tradizione come i prodotti di montagna. Senza dimenticare una linea “premium” battezzata “Sapore Veneto”, che andrà a conquistare il mercato di alta gamma, con prodotti nuovi, ma fortemente legati al territorio di produzione.”
I numeri raccontano che Latterie Vicentine rappresenta oggi il più grande polo produttivo di Asiago DOP (460.000 forme tra fresco e stagionato), e tra i principali produttori di Grana Padano DOP (76.000 forme), con una lavorazione di 112.000 tonnellate di latte all’anno, proveniente da 350 stalle (79% in pianura, 15% Pedemontana e 6% in montagna).
Centro Veneto Formaggi è uno dei principali produttori di Montasio Dop, Casatella Trevigiana DOP, oltre che dei più tradizionali formaggi della Pedemontana del Grappa come Morlacco, Bastardo, Formai da Polenta, Angelico e Formajo Inbriago; lavora circa 16.000 tonnellate di latte.
Abbiamo voluto approfondire alcuni aspetti col numero uno di Latterie Vicentine, Alessandro Mocellin.
Presidente, descriva per favore l’alleanza fra coop e industria. Per qualcuno è una sorpresa.
“Sono un cooperatore e vivo in un mondo che a volte pensa che l’industria sia il “nemico”. È una mentalità del mondo agricolo che è legata al passato e che non guarda alle opportunità che il mercato oggi può offrire, senza per questo negare le proprie origini”.
Che cosa avete imparato dall’industria?
Cooperativa ed Industria hanno condiviso una visione comune
“Abbiamo in verità condiviso una visione comune, che è appunto quella di dare valore al territorio, alle nostre stalle, all’ambiente che ci caratterizza e alle produzioni tipiche della tradizione, cercando allo stesso tempo di ampliare lo sguardo verso nuovi prodotti, per andare incontro a un consumatore che si riconosce nelle tipicità. Penso di poter affermare che entrambi, cooperativa e industria, abbiamo condiviso progetti con la volontà di sviluppare prospettive importanti”.
Perché proprio Centro Veneto Formaggi?
“Perché innanzitutto ha un centro di raccolta vicino a dove arriviamo noi con i nostri allevatori. Siamo di fatto vicini di casa. Centro Veneto Formaggi ha privilegiato un contesto di raccolta costituito da stalle medie e piccole, peculiari della Pedemontana Trevigiana, dove ha sede. In questo modo, l’industria ha saputo dare un futuro agli allevatori, che altrimenti avrebbero abbandonato la zootecnia per affacciarsi magari alla produzione vitivinicola a più alto reddito, dal momento che la zona è quella del Prosecco. Il dialogo è nato dalla consapevolezza che, insieme, avremmo potuto rafforzare il mercato, valorizzare ancora di più il territorio e contenere i costi industriali, presentandoci in maniera compatta. Ottimizziamo in questo modo gli impianti e gli investimenti in ricerca e sviluppo”.
Come vi siete organizzati?
“Noi produciamo le grandi DOP, siamo leader nella produzione dell’Asiago e lo facciamo anche per conto di Centro Veneto Formaggi. Siamo tra i principali produttori di Grana Padano e tutte le specialità venete le abbiamo delegate all’industria, fornendo una materia prima di alta qualità, mentre il latte raccolto da Centro Veneto Formaggi e destinato alla produzione delle DOP lo lavoriamo noi”.
Il marchio di alta gamma “Sapore Veneto” da dove nasce?
“Nasce dalla consapevolezza che il consumatore cerca la qualità e che un paniere di nuovi prodotti può essere un’opportunità di valorizzare il territorio in maniera alternativa alle DOP. È un progetto alternativo, dedicato a prodotti straordinari. Come il Fior di Bruna, un formaggio a pasta morbida, con una maturazione di oltre 2 mesi, e dall’alto valore proteico; prodotto esclusivamente con il latte raccolto nelle stalle venete che allevano vacche di razza bruna. Oppure con l’Angelico, formaggio fatto esclusivamente con latte di montagna. Vogliamo studiare anche affinature particolari, come la stagionatura in grotta o sotto fieno, sempre partendo dalla materia prima di alta qualità. Per tornare al tema dell’alleanza fra cooperazione e industria: erano prodotti che pensavamo di realizzare, ma ci serviva il coraggio di partire e la forza per creare un valore aggiunto sul prodotto finale”.
Andrete solo nella GDO?
“Partiamo dalla grande distribuzione organizzata, perché garantisce subito numeri di acquisto superiori, ma abbiamo l’intenzione anche di raggiungere i negozi specializzati e quelli di prossimità, che abbiamo visto in questa pandemia svolgere un ruolo insostituibile. La valorizzazione al meglio del latte lavorato è un obiettivo comune a cooperazione e industria. Se una stalla chiude è un danno tanto per la cooperativa che per l’industriale”.
L’Italia deve continuare a sviluppare le produzioni tradizionali, formaggi Dop od altro, oppure deve pensare ad inserirsi nel mercato dei nuovi prodotti come gli ingredienti derivati da latte e siero?
“Premetto che fare qualcosa di nuovo non è mai semplice ma l’Italia non può prescindere dalle DOP, che rappresentano oltre il 50% del latte lavorato. Ma è doveroso pensare alle alternative, perché la situazione che si è venuta a creare con il Covid-19 è stata decisamente inaspettata e ha sconvolte dinamiche di mercato e logiche commerciali che davamo per scontate”.
Come sarà il futuro?
Serviranno accordi di filiera fra chi produce, chi acquista e trasforma e chi vende
“Quello che verrà dovrà essere rispettoso dell’ambiente, del benessere animale e del benessere dell’allevatore. Il futuro di una stalla dipenderà dal proprio reddito, elemento che troppe volte è stato messo in discussione. Serviranno accordi di filiera fra chi produce, chi acquista e trasforma e chi vende. La grande distribuzione deve essere vista come un alleato, non come un antagonista, perché anche loro hanno l’obiettivo di sposare la causa del produttore, quando decidono di inserirlo sui propri scaffali. Bisognerà fare in modo che vi sia rispetto della marginalità di ciascuno. Bisogna pensare e agire in modo diverso”.
Avete deciso di spingere le vendite dell’Asiago nei pasti pronti per la ristorazione. Che risultato avete avuto?
“Molto positivo. Era un canale non presidiato, ma si è rivelata una scelta vincente. Il più delle volte i pasti pronti per la ristorazione collettiva utilizzavano materie prime a basso costo, per cui di bassa qualità. Invece, grazie all’Asiago, siamo riusciti a garantire qualità per le produzioni e redditività per noi produttori. Grazie a una nuova fetta di mercato non abbiamo subito cali di prezzo”.
Danone ha adottato la doppia strategia: latte e prodotti alternativi di origine vegetale. Può essere una strategia anche delle imprese italiane, in modo da organizzare sempre più la filiera, dalla produzione agricola a quella della trasformazione industriale?
“Non posso pensare che quello sia il futuro. Gli estremismi non portano da nessuna parte e penso che una dieta equilibrata e sana sia la scelta migliore. Noi puntiamo su un prodotto genuino ed è da lì che passerà il futuro per i nostri figli”.
Come sono andate le vendite online?
“Con il lockdown le abbiamo utilizzate, ma pensavamo di avere una maggiore risposta”.
Come se lo spiega?
“Online si comprano le scarpe. Il nostro prodotto il consumatore vuole ancora vederlo e sceglierlo”.