La nostra storia con la private label [Intervista ad Erika Colla]

Erika Colla - Responsabile Commerciale Colla S.p.A.

Erika Colla – Responsabile Commerciale Colla S.p.A.

La volatilità del mercato e gli stili di acquisto, la Brexit e le dinamiche di export, la sostenibilità e il biologico, ma anche il pionierismo nell’abbracciare le private label. Erika Colla, responsabile commerciale dell’omonima azienda piacentina, passa con grande agilità dai temi di cronaca alle dinamiche di scenario, in una fase complessa come quella attuale, dove anche i mercati stanno attraversando una fase di vivace dinamismo.

Come interpreta la volatilità che ha caratterizzato gli ultimi 15-18 mesi e cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro?

“Chi lavora nel sistema lattiero caseario è avvezzo ad un mercato da montagne russe. Sicuramente il 2020 è stato caratterizzato, oltre che da una forte volatilità, anche dalla velocità con cui i cambiamenti si sono verificati”.

Per quale motivo?

Il mercato lattiero – caseario è estremamente emozionale

“Credo che le variazioni si siano succedute in maniera così repentina perché i livelli che ha raggiunto il mercato al rialzo e al ribasso sono stati troppo estremi per essere assorbiti sia dalla parte zootecnica quando era troppo basso che dalla distribuzione, quando al contrario era ai massimi.

Il nostro è un mercato estremamente emozionale e spesso le logiche che governano gli acquisti, così come le vendite, non sono regolate solo dai dati oggettivi”.

A cosa si riferisce?

“Mi riferisco, ad esempio, alla disponibilità di prodotto stagionato, al trend di produzione o, ancora, al valore della materia prima latte, ma penso anche ai timori o talvolta all’ottimismo, che influenzano la modalità di porsi davanti ad una trattativa.

Credo che l’impostazione del mercato in cui ci troviamo a operare resterà sempre più o meno questa e anche alcuni sistemi applicati per porre un minimo di regolamentazione, come il sistema quote in vigore da tanti anni, non hanno mai impedito che la volatilità dei prezzi prendesse il sopravvento sul desiderio di stabilità e remunerazione di filiera. Per comprendere ciò basta osservare le curve di prezzo che CLAL pubblica costantemente”.

Come si tutela un’azienda come la vostra dai rally del mercato?

“Un’azienda può solo cercare di restare ancorata al mercato usando tutta l’esperienza, la sensibilità e le informazioni che può reperire. Non credo esista una formula magica per questo”.

I consumatori chiedono maggiore sostenibilità. Cosa significa per voi?

“Nel nostro settore quando si parla di sostenibilità, oltre alle buone pratiche produttive, il pensiero va subito agli imballaggi. I consumatori chiedono più sostenibilità e riciclabilità nel packaging che utilizziamo, ma allo stesso tempo pretendono che la shelf-life rimanga invariata.

Gli ultimi studi delle maggiori aziende di packaging confermano che, se si vuole mantenere una conservazione ottimale del prodotto per mesi o addirittura anni, come richiedono alcuni clienti dei Paesi più lontani, non si può non utilizzare prodotti plastici multistrato e a barriera. Questi risultano molto performanti a livello di conservabilità, ma non sono riciclabili nella plastica.

Packaging più sostenibile, aumentando la frequenza di acquisto

Sotto questo punto di vista, quindi, immagino che sia più una questione di cambio culturale: si può diventare più sostenibili nei packaging, se si accetta di tornare a fare la spesa in maniera diversa, magari aumentando la frequenza di acquisto, così da ridurre l’uso della plastica. Relativamente alle buone pratiche di produzione, invece, sicuramente l’utilizzo delle energie sostenibili è qualcosa con cui tutti ci dovremo prima o poi confrontare.

Una maggiore sostenibilità comporterà un aumento dei costi in azienda?

“Sicuramente rappresentano un costo iniziale per l’azienda ma credo che nel tempo siano ripagate”.

Che spazio hanno i formaggi bio nell’ambito della vostra attività?

“Dalla nostra esperienza vediamo che i prodotti biologici riferiti a Grana Padano e Parmigiano Reggiano hanno acquisito uno spazio di mercato che rimane stabile, soprattutto per il Parmigiano Reggiano, e non subiscono gli stessi scossoni dei formaggi convenzionali”.

Per quale motivo, secondo lei?

“Probabilmente perché chi sceglie il prodotto bio ha una continuità di consumo che meno si sposa con i Grana e Parmigiano convenzionali. Chi sceglie i prodotti biologici sceglie prima di tutto una filosofia e, quindi, la segue in maniera costante”.

Il consumo dei formaggi bio è diffuso più all’estero che in Italia. Come lo spiega?

“Innanzitutto, in alcuni Paesi, specialmente del Nord Europa, hanno una maggiore attenzione e una propensione più spiccata verso il biologico. Una ulteriore spiegazione, accanto al concetto appunto della filosofia bio, potrebbe essere che in Italia è più diffusa una cultura sulle nostre produzioni Dop e questo ci consente di essere sufficientemente confortati dalla naturalità dei processi produttivi che le caratterizza, tanto da non andare a cercare un’ulteriore tranquillità, per così dire, nel marchio bio”.

L’azienda Colla produce anche per le private label. Quanto incide sui volumi complessivi?

Vendere la nostra faccia o diventare la faccia delle distribuzioni

“La nostra storia con la private label è nata quando mio padre Giuseppe e mio zio Carlo, insieme a mio nonno Luigi, hanno deciso che tipo di impostazione si doveva dare alla nuova avventura del reparto di confezionamento. C’era da scegliere se vendere la nostra faccia o diventare la faccia delle distribuzioni.

Nei primi anni ’90 il concetto di private label era agli albori e ancora non si immaginava che tipo di sviluppo avrebbe avuto né che cosa avrebbe rappresentato ad oggi in termini di numeri e volumi.

Oggi la vediamo come una cosa scontata, siamo abituati a barcamenarci davanti allo scaffale con la declinazione di una stessa referenza in vari marchi propri e private label, ma all’epoca non era così.

Scegliere di diventare la faccia dei distributori era la strada più rischiosa, perché comportava e comporta tutt’ora un’enorme responsabilità”.

Perché?

“Serve innanzitutto guadagnarsi la fiducia da parte della clientela, che ti sta affidando una delle cose più importanti che ha: il suo brand. In secondo luogo i margini di errore devono essere necessariamente molto molto bassi, proprio per il motivo appena accennato. Noi siamo quindi nati con la private label, che ad oggi rappresenta ancora una parte fondamentale dei nostri volumi, avendo esteso negli anni la nostra esperienza in questo campo anche su clienti europei ed oltreoceano”.

Quali investimenti avete in programma?

“A breve renderemo operativo al 100% il nostro nuovo stabilimento di Fidenza (Parma) dove il magazzino di stagionatura per il Parmigiano Reggiano è già da tempo attivo e dove, a causa Covid-19, gli interventi di finitura e montaggio del nuovo reparto di confezionamento non sono potuti proseguire con la stessa velocità”.

L’export resta una delle strategie vincenti per il settore lattiero caseario italiano. Di cosa hanno bisogno le aziende?

Le aziende devono essere più competitive riducendo i costi accessori legati all’export

“L’export è sicuramente fondamentale per il nostro settore, soprattutto perché la saturazione del mercato italiano è ormai evidente. Riguardo a questo credo che le aziende a livello pratico abbiano bisogno di essere sempre più competitive e, quindi, di ridurre il più possibile i costi accessori legati alle esportazioni: trasporti, documentazioni, certificati.

Hanno bisogno di snellimenti e semplificazioni burocratiche e, in buona sostanza, di sostegno per lo sviluppo dell’internazionalizzazione, o almeno contare in una limitazione degli impedimenti. La situazione contraria si è appena verificata, purtroppo, con la Brexit”.

Vale a dire?

“È vero che abbiamo scampato il pericolo dazi, che avrebbe fortemente compromesso il consumo dei nostri prodotti nel Regno Unito, ma la mole di documentazione necessaria dal primo gennaio scorso e la previsione di ulteriore documentazione che diverrà necessaria dal prossimo aprile, sono chiari esempi di impedimenti e costi di cui sinceramente non avevamo bisogno né noi né gli amici britannici”.

Il Covid ha inciso sull’export?

“Il Covid ha inciso all’estero come ha inciso in Italia, quindi un blocco pressoché totale dell’Horeca con una piccola ripresa durante i mesi estivi e il ritorno allo stop in autunno. Questo si è verificato con lo sfasamento di alcune settimane tra un Paese e l’altro a seconda della diffusione del virus, ma il risultato è stato lo stesso.

Anche le conseguenze sulla grande distribuzione hanno vissuto tempistiche sfasate: a inizio pandemia abbiamo visto una corsa a riempire gli scaffali, con aumenti d’ordine anche del 30%, per poi ritornare alla normalità. Sicuramente la preoccupazione è elevata per i prossimi mesi, perché oltre alle incognite che potremmo considerare standard, ci saranno nuove variabili di incertezza sociale e non siamo in grado di immaginare quali saranno le ricadute effettive sul nostro mercato”.

Nel 2021 festeggerete i vostri primi 100 anni. Domanda impossibile: come immagina il settore fra 100 anni?

“Domanda complicata… Riesco a immaginare con certezza che le vacche produrranno ancora latte e forse mi torna più semplice dirle quello che spero”.

Dica.

“Spero che tra 100 anni ci sia ancora qualcuno che si chiama Colla e che sarà ancora tanto matto da occuparsi di produrre e commercializzare formaggi duri”.

TwitterLinkedInFacebook... condividi
Matteo Bernardelli
Informazioni su

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

Taggato con:
Pubblicato in Formaggio, Sostenibilità, Strategie di Impresa