Ridurre le produzioni, abbassare le scorte e prevedere politiche in accordo col governo per l’aiuto agli indigenti: tre mosse per scongiurare uno scenario fino a qualche mese fa nemmeno ipotizzabile. Sono le indicazioni del Direttore Generale del Consorzio di tutela del Grana Padano, Stefano Berni, a poche settimane dall’assemblea di giugno che dovrebbe rivedere il Piano produttivo come risposta agli effetti del Coronavirus.
Direttore Berni, partiamo dall’Italia. Come sono andati i consumi in queste settimane di lockdown?
“Ci siamo trovati di fronte a un duplice scenario e, nel complesso, possiamo dire che al momento la situazione non è negativa. I consumi in Italia sono crollati nel food service, mentre stanno crescendo le vendite nella grande distribuzione, perché il Grana Padano utilizzato dalle famiglie in casa andrà in sostituzione dei pranzi fuori”.
All’estero come stanno andando le vendite?
“All’estero la situazione è capovolta, perché il confinamento ci ha penalizzato. Fuori dall’Italia l’attitudine al consumo avviene assai più nell’ambito della ristorazione e del food service, che non in Italia. In alcuni Paesi, come Germania, Svizzera e Francia riusciamo parzialmente a compensare il calo de consumi nella ristorazione con l’ambito familiare, negli altri Paesi abbiamo maggiori difficoltà”.
Avete una prima stima della flessione dell’export?
“Nei primi otto mesi dell’anno, cioè fra gennaio e agosto 2020, ipotizziamo una diminuzione delle vendite di quasi 200.000 forme, cioè circa il 10% dell’export annuale, che è di 2 milioni di forme, dove quasi la metà delle quali è canalizzata attraverso il food service. Non ci avventuriamo oltre agosto, perché molto dipenderà dalla presenza e diffusione del Covid-19. Qualora la situazione emergenziale dovesse rientrare, potremmo recuperare parte delle vendite fra settembre e dicembre”.
Quale soglia di minore export riterrebbe accettabile dal suo punto di vista?
“Tenuto conto della situazione mondiale e del fatto che è la prima volta in 25 anni che registriamo un rallentamento dei consumi all’estero e una sostanziale tenuta in Italia, riterrei accettabile un calo attorno alle 150.000 forme. Se da settembre dovessimo avere ancora anomalie provocate dal Covid-19, rischieremmo una contrazione di 300.000 forme”.
L’aumento delle produzioni di Grana Padano la preoccupano?
“È un elemento di riflessione, indubbiamente. Nel 2019 abbiamo prodotto 5.190.000 forme, delle quali 5.160.000 confluite nei magazzini. L’incremento sul 2018 è stato del +4,6 per cento. Qualora nel 2020 la produzione di Grana Padano dovesse crescere di un ulteriore +4%, ci ritroveremmo con 200.000 forme di produzione in più e altre 200.000 forme vendute all’estero di meno. Dovremmo cioè gestire un surplus di 400.000 forme e non vi sarebbe, in quel caso, alcuna forma di comunicazione, di marketing o di pubblicità per reggere il contraccolpo sui prezzi”.
La capacità di spesa alimentare sarà un aspetto da non sottovalutare
Come ridurre le scorte?
“Bisogna operare su due fronti: mettendo a disposizione meno latte, in modo da produrre meno Grana Padano, e aumentare la selezione qualitativa retinando più formaggio In questo modo ridurremmo le scorte di Grana Padano e, allo stesso tempo, raggiungeremmo una fascia di consumatori con una capacità di acquisto inferiore. Il tema della capacità di spesa alimentare sarà un altro aspetto da non sottovalutare, perché la crisi innescata dal Coronavirus sta colpendo molte persone”.
C’è infatti il tema degli aiuti agli indigenti ancora aperto.
“Proprio pochi giorni fa insieme al Consorzio del Parmigiano Reggiano abbiamo affrontato la questione con la struttura ministeriale. Vorremmo ripercorrere insieme quanto abbiamo realizzato nel 2009. Siamo naturalmente disposti a contribuire con risorse consortili”.
Avete un’idea dei volumi da destinare agli indigenti?
“Al momento è presto, ma potrebbe essere ragionevole puntare ad avvicinarsi alle 100.000 forme di Grana Padano e altrettante di Parmigiano Reggiano, nell’arco di più riprese nel corso dell’anno, come avvenne appunto nel 2009. All’epoca si pensò di elargire come consorzi un contributo del 10-12%, mentre questa volta pensiamo di arrivare al 20-25% di aiuto supplementare rispetto a quanto individuato dal ministero. Mi spiego meglio: per ogni 100 euro di formaggio stanziato dal Mipaaf, come consorzi metteremmo a disposizione 20-25 euro di formaggio aggiuntivo”.
Il nodo dell’incremento produttivo di latte è una questione di portata mondiale
Come è possibile ridurre la produzione di latte nelle stalle?
“È un tema squisitamente allevatoriale e che investe la libertà e la capacità di impresa di ogni stalla, non è il Consorzio di tutela che deve intervenire. So che alcuni stanno cercando di sostituire il nucleo con i foraggi, in modo da ridurre la forza energetica della razione alimentare e, di conseguenza, diminuendo i costi in stalla e, soprattutto, le quantità di latte prodotto dalle bovine anche del 7-8 per cento. Il nodo dell’incremento produttivo è una questione di portata mondiale, che non riguarda solamente il comprensorio del Grana Padano. Si sono accorti da più parti che per evitare il crollo dei prezzi del latte bisogna contenere i volumi produttivi, almeno finché non siamo definitivamente usciti dall’emergenza Covid-19”.
Bisogna rivedere il Piano produttivo triennale?
“Alcuni aspetti del Piano produttivo sarebbero stati uno degli argomenti dell’assemblea che faremo a Verona a metà giugno e che avremmo dovuto fare lo scorso aprile. Il Covid-19 ci ha indotto a rimandarla. In quella sede discuteremo anche del Piano produttivo, in quanto la gestione delle scorte, la retinatura qualitativa, il contenimento delle quantità sono argomenti che incidono proprio sul Piano e che necessitano di condivisione e approvazione da parte dei soci. D’altronde, la situazione che il Coronavirus ha scatenato è senza precedenti e dobbiamo in qualche modo intervenire per frenare una forte spinta produttiva che è avvenuta con una certa propensione fra agosto 2019 e marzo di quest’anno perché nessuno poteva pensare che sarebbe arrivata la più grossa crisi sanitaria ed economica mondiale degli ultimi cento anni”.