Tempo di risolvere problemi strutturali e raggiungere nuove intese [Intervista a Paolo Zanetti]

Paolo Zanetti – Presidente di Assolatte

Paolo Zanetti – Presidente di Assolatte

Schiacciato dalle pressioni del caro energia e di costi di produzione che si fanno ogni giorno più pressanti, il sistema lattiero caseario è riuscito a crescere a ritmi impressionanti negli ultimi anni, con una crescita media del 7% all’anno e arrivando a esportare quasi il 40% della produzione casearia nazionale. Parola di Paolo Zanetti, presidente di Assolatte. Gli abbiamo fatto qualche domanda.

Presidente Zanetti, che fase stanno vivendo le industrie italiane del settore lattiero caseario? Come si può alleggerire la pressione dei rincari energetici?

“Usiamo pochissimi ingredienti, energia per trasformarli e materiali di imballaggio per preservarne caratteristiche e sicurezza. Non c’è uno di questi fattori produttivi che non sia aumentato con tassi a due e tre cifre. Una situazione insostenibile! Al tavolo latte dello scorso settembre Assolatte aveva lanciato l’allarme costi, ma è servito a poco, perché la stragrande maggioranza degli aumenti sono stati assorbiti dalle imprese di trasformazione e non è stato possibile trasferirli a valle.
Così, però, si mette a repentaglio il presente e il futuro di migliaia di posti di lavoro e di allevamenti.

I tempi sono maturi per risolvere tanti problemi strutturali del sistema latte

Sono indispensabili aiuti al settore e interventi straordinari immediati che portino ad una riduzione dei costi di chi il latte lo produce e lo trasforma. Apprezziamo gli sforzi fatti dal Governo per ridurre le imposte sull’energia, ma siamo lontani dalla soluzione: gli aumenti sono stati troppo marcati. Pensando al medio periodo, invece, credo che i tempi siano maturi per risolvere tanti problemi strutturali del sistema latte. Bisogna riscrivere, abrogare, modificare una serie di norme che aggravano i costi e minano la competitività delle nostre aziende, agricole e industriali”.

L’export italiano è in continua ascesa, ma complessivamente si colloca su percentuali più basse rispetto a Paesi come Germania, Francia, Irlanda e Paesi Bassi. Cosa servirebbe per crescere ulteriormente?

“Non so dire – davvero – se si possa crescere di più o più velocemente di quel che stiamo facendo.
Negli ultimi dieci anni le nostre esportazioni di formaggi sono passate da 300.000 a 500.000 tonnellate, con una crescita media annua del 7%. Pochi Paesi possono dire di aver messo a segno analoghi risultati.

La capacità di esportare non si valuta solo con i numeri e ci sono differenze sostanziali tra l’Italia e gli altri grandi player europei.
Prima di tutto, non bisogna dimenticare i danni fatti dalle quote latte, che ci hanno condannato per trent’anni a non essere autosufficienti, mentre Germania e Paesi Bassi – solo per citare due casi – hanno sempre avuto molto più latte del proprio fabbisogno. Per loro, l’export è sempre stata una necessità strutturale. Non dimentichiamo, poi, che esportano anche tantissimo latte UHT, panna, latte in polvere, burro, prodotti che noi esportiamo solo in quantità ridotte.

Detto questo, se guardiamo i formaggi, i rapporti di forza si sono avvicinati moltissimo e la crescita che le nostre aziende stanno garantendo al sistema latte nazionale è davvero incredibile. Con 500.000 tonnellate di formaggi esportati in un anno, esportiamo quasi il 40% della produzione casearia nazionale”.

Ice-Agenzia, Sace, Ambasciate aiutano le imprese italiane ad esportare nel mondo. Quali suggerimenti si sentirebbe di dare per fare in modo che tale assistenza all’export sia ancor più efficace?

“Abbiamo un ottimo rapporto con Ice-Agenzia e Ambasciate. Collaboriamo nella definizione dei paesi target e dei progetti promozionali. Conosciamo la loro professionalità e apprezziamo la loro presenza capillare nel mondo.
I problemi che viviamo come esportatori non dipendono da queste strutture ma dalla complessità delle regole da seguire nelle diverse destinazioni.

Esportare verso mete lontane continua ad essere difficile

Se il mercato unico ha risolto tante criticità, abbattendo molte frontiere, l’export verso le mete lontane continua ad essere difficile e se non si hanno collaboratori esperti, raggiungere queste destinazioni è quasi impossibile.
Penso ai problemi che dobbiamo risolvere nella gestione dei prodotti freschi, alle registrazioni degli stabilimenti e dei prodotti. E poi, le certificazioni Halal, diverse da Paese a Paese, i diversi certificati veterinari con le limitazioni che ne derivano e che cambiano, talvolta, per decisioni unilaterali. I vincoli introdotti da paesi che non vogliono cagli animali. Un vero labirinto di norme e procedure”. 

Gli accordi internazionali tra Unione Europea e altri paesi hanno dato impulso alle esportazioni. Dove auspica che si raggiunga un’intesa vantaggiosa per il made in Italy lattiero caseario?

“Altro che impulso! I numeri sono sotto gli occhi di tutti: in tutti i Paesi che hanno firmato accordi di libero scambio con l’Europa siamo cresciuti molto.
Non è un caso che abbiamo sempre fatto il tifo per il Ceta, per gli accordi col Giappone, la Cina, la Corea. Sappiamo bene che non sono accordi perfetti, ma sono comunque ottime intese, che hanno ridotto o azzerato i dazi o previsto contingenti tariffari importanti. Anche sul fronte delle regole del gioco, gli accordi di libero scambio hanno dato il via ad un percorso virtuoso, con il riconoscimento delle nostre Dop più esportate permette una concorrenza più leale di quella del passato. E le regole sull’indicazione di origine aiutano a controllare l’Italian sounding.
Sono convinto che se avessimo avuto un’intesa con gli Stati Uniti non saremmo stati costretti a leccarci le ferite per i super dazi imposti dall’amministrazione Trump.

Dobbiamo raggiungere nuove intese con i Paesi più attenti e curiosi

È un cammino difficile, ma non dobbiamo fermarci. Bisogna andare avanti con nuove intese con i paesi più attenti o curiosi di conoscere le nostre produzioni, manutenere le intese sottoscritte, cercare di far riconoscere le nostre regole produttive, per ridurre i costi legati alle certificazioni necessarie per portare i nostri formaggi nel mondo”.

Qualche settimana fa, alcuni grandi gruppi della distribuzione all’estero, avrebbero invitato i fornitori ad abbassare i prezzi, così da conquistare nuove quote di mercato. Condivide tali soluzioni o si rischia di non dare il giusto valore ai prodotti?

“La situazione è esplosiva, altro che abbassare i prezzi! Non è questo il momento per politiche commerciali di riduzione. Come dicevo, i nostri costi sono impazziti e chi fa industria si trova schiacciato tra il dover pagare fatture e bollette a prezzi molto più alti del passato e la freddezza di tante catene della Gdo, a cui abbiamo chiesto di riconoscerci almeno parte dei sovra-costi che stiamo sopportando. La situazione è ben nota sia ai nostri clienti italiani che alle catene estere, grandi e piccole”.

Come vede il futuro del settore? L’aumento delle produzioni domestiche di latte può creare difficoltà al mercato?

“Stiamo andando controcorrente. I grandi produttori europei di latte hanno rallentato la propria corsa e nonostante quotazioni interessanti non sembrano intenzionati a ripartire. In Italia, invece, succede il contrario: la produzione cresce di anno in anno, soprattutto nelle aree più vocate.

Se questa tendenza sarà confermata anche nei prossimi anni, non potranno non esserci effetti sul mercato. Negli ultimi anni, l’export ha permesso di assorbire buona parte del latte prodotto in più, ma non si può pensare di crescere al di sopra di certi livelli. Se la crescita delle esportazioni fletterà, avremo effetti certi sul mercato interno. Per questo diciamo sempre che bisogna concentrarsi sulla capacità competitiva del sistema latte italiano, con i necessari investimenti e una revisione delle regole del gioco”.

Saranno sempre i formaggi Dop gli ambasciatori del made in Italy? Ritiene che possano esserci spazi per altri prodotti?

“È già così. Al fianco dei grandi formaggi Dop, infatti, primi tra tutti Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Gorgonzola, Mozzarella di Bufala Campana, ci sono tanti altri formaggi apprezzatissimi nel mondo, che rappresentano il 40% circa il valore del nostro export. Siamo fortissimi esportatori di mozzarella, che tra l’altro è il formaggio italiano più venduto nel mondo, tanto che stiamo facendo infuriare i francesi perché è diventato il formaggio più consumato in Francia. E il provolone, il mascarpone? Ne vendiamo centinaia di tonnellate in tutto il mondo, con i Paesi asiatici che mostrano tassi di crescita costanti. Per non parlare della burrata, che sta correndo negli ordini che arrivano da oltreconfine. Le referenze che portiamo in tutto il mondo sono sempre di più”.

Paolo Zanetti - Presidente di Assolatte

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Matteo Bernardelli
Informazioni su

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

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