Se, come scriveva Oscar Wilde, la tradizione è un’innovazione ben riuscita, quella del formaggio è riuscitissima. Si narra e si desume che la sua “scoperta” sia avvenuta per caso da chi, dopo aver trasportato del latte in un otre a dorso d’animale in una zona calda, trovò al suo arrivo non più il liquido che aveva estratto dalla mammella ma una massa solida che si conservava ben più a lungo.
Fregio di Latteria: testimonianza della caseificazione dell’antica Mesopotamia
Terra fra i fiumi Tigri ed Eufrate, la Mesopotamia era denominata “Mezzaluna fertile” per i prati ubertosi che permettevano l’allevamento dei bovini da latte invece di ovini e caprini comunemente presenti in tutte le comunità nomadi e semi-nomadi che popolavano i territori di allora, dall’India al Mediterraneo.
Grande fu poi la sorpresa quando, pochi anni fa, ricercatori dell’Università di Catania scoprirono un reperto ancor più antico: dei resti di formaggio in un tempio di Tebe, nell’antico Egitto, di ben 3200 anni avanti Cristo. L’analisi proteomica e biomolecolare accertò non solo che era stato ottenuto da latte di capra, pecora e vacca ma addirittura che conteneva dei residui di quella Brucella melitensis che da sempre colpisce gli animali ed infetta il latte.
Formaggio, il cibo prezioso
Poi, caduto l’impero romano d’occidente, ci pensarono i grandi ordini monastici a recuperare ed a trasmettere l’incommensurabile patrimonio di sapienza, anche scientifica, della tradizione classica antica. Così, nelle abbazie benedettine e cistercensi, ma anche in quelle cluniacensi e probabilmente presso quelle dell’irlandese san Colombano, nacque il formaggio di grana.
Da allora ebbe inizio tutta un’altra storia, quella della tradizione che ci appartiene e che ancor oggi possiamo toccare con mano e, soprattutto, degustare…
Fonti: LiveUniCT, Smithsonian Magazine, Moebius