“Essere riusciti a restare fuori dalla lista dei dazi Trump è un traguardo fondamentale, che ci permette di guardare con un po’ più di ottimismo ai prossimi mesi. Per il Consorzio quella contro i dazi Usa è stata una battaglia in prima linea e di fondamentale importanza, fatta di tutela legale ma soprattutto di un’attività di costante mediazione e dialogo con rappresentanti istituzionali. Proteggere il prodotto significa salvaguardare economia e posti di lavoro, perciò il nostro impegno, che va avanti da anni, continuerà esattamente in questa direzione. Non dimentichiamo che la nostra filiera occupa oltre 25mila addetti”.
Parte dal pericolo scampato dei dazi Usa il presidente del Consorzio del Pecorino Romano Dop, Salvatore Palitta, perché è ben consapevole che il futuro del grande formaggio simbolo della Sardegna (e non solo) si gioca anche sui mercati internazionali, con gli Stati Uniti che rappresentano storicamente il primo porto di destinazione dell’export.
Il mercato nordamericano è il 50% dell’export
“Il mercato nordamericano – afferma Palitta – per noi è quasi il 50% dell’export. È fondamentale e dallo scorso marzo segnala in verità delle contrazioni importanti, con un calo del -29,3% nel periodo Gennaio-Giugno 2020 rispetto allo scorso anno”.
Da cosa è dipeso tale calo?
“È indubbiamente l’effetto della pandemia, che è ritardato rispetto all’Europa. Come per altri formaggi Dop italiani, la nostra presenza all’estero, compresi appunto gli Stati Uniti, è legata all’horeca, mentre in Italia il canale principe è la grande distribuzione. È chiaro che il lockdown, la sofferenza del turismo, le difficoltà economiche e la chiusura della ristorazione sono state un duro colpo anche per il Pecorino Romano”.
Capita che, soprattutto all’estero, i formaggi Dop italiani abbiano problemi di contraffazione. È così anche per il Pecorino Romano?
“Sì, anche noi soffriamo il fenomeno dell’agropirateria e dell’imitazione. Cerchiamo con ogni mezzo di contrastare il fenomeno. Abbiamo registrato il marchio ovunque possibile, dal Giappone alla Nuova Zelanda e negli Stati Uniti abbiamo vinto contro l’associazione dei nomi generici americani, dove è maggiore l’insidia. Inoltre, negli Usa abbiamo registrato la forma tridimensionale del Pecorino Romano, che è unica nel suo genere, e stiamo lavorando per riconoscere la nostra tipicità anche sul piano giuridico. Fra l’altro, circolano delle pessime imitazioni del nostro formaggio, che è estremamente difficile, se non impossibile, da imitare”.
Sottolinea più volte gli aspetti di unicità del prodotto. Deve essere letta in quest’ottica la realizzazione della “forma di Pecorino Romano dei record”, lo scorso luglio?
“Assolutamente sì. La forma è nata all’interno di una delle nostre cooperative associate, che ha realizzato un prodotto che, oltre alle dimensioni eccezionali, ha una bontà e una qualità notevoli. Anche questo è un modo per mettere in evidenza la nostra storia come produttori di Pecorino Romano, la distintività del territorio, le caratteristiche di una identità che è storica, culturale, persino sociale, se pensiamo alle tradizioni della Sardegna e alla elevata presenza in alcune zone di ultracentenari”.
Restiamo sull’isola. Quanto incide il turismo come veicolo per la promozione del Pecorino Romano?
“Il prodotto è apprezzato molto dai turisti, che poi lo acquistano una volta tornati nei loro luoghi di origine. Ma se guardiamo la presenza nelle ricette locali, il Pecorino Romano è più radicato nei piatti tipici del Lazio, della Campania o della Puglia rispetto alla Sardegna, dove il consumo è molto spesso da solo, come piatto e non come ingrediente”.
Il circuito degli chef e della ristorazione può essere un veicolo per vendere il prodotto?
“Sicuramente. Da alcuni anni abbiamo coinvolto le associazioni dei cuochi, gli istituti alberghieri, le scuole di alta cucina, creando rapporti continuativi. Con la Chef Academy di Terni abbiamo rapporti consolidati e finanziamo il contest sul Pecorino Romano. Siamo stati protagonisti del progetto Sfide con le scuole alberghiere dell’Emilia Romagna: sbancare il Re dei formaggi nella propria terra di origine non è stata certo cosa facile, ma ci siamo riusciti, a giudicare dallo stupefatto gradimento degli insegnanti di cucina per la versatilità del nostro prodotto. Più diffusamente, il sistema di promozione imperniato sui cardini di cucina, scuola e formazione risponde alle esigenze del consumatore e si integra con le attività nei punti vendita per far conoscere direttamente il prodotto”.
Funziona anche all’estero?
“Certo. Attraverso la cucina e i corsi di formazione siamo riusciti a promuovere il Pecorino Romano negli Usa al punto che da ingrediente è diventato un piatto principale e autonomo nelle famiglie”.
Quali risultati sta dando la formula del pegno rotativo, nella quale siete stati antesignani?
“Ha detto bene. Quando siamo partiti con l’idea del pegno rotativo molti non la apprezzavano o non ne comprendevano le finalità. Le banche hanno compreso che poteva essere una soluzione fluida e, comunque, garantita, in grado di favorire interventi finanziari su tutta la filiera e i produttori. Il pegno rotativo si è rivelato uno strumento molto efficace e da due anni e mezzo utilizziamo questa forma di finanziamento. Il supporto del consorzio è massimo, perché è il garante dell’istituzione del pegno”.
Qual è la situazione di mercato oggi, nella fase post-lockdown?
“Se misuriamo il mercato in rapporto ai prezzi abbiamo una stabilità che dura da oltre 12 mesi. Tale situazione favorisce anche i consumi del prodotto. Venivamo da un 2018 pesante, per il crollo dei prezzi dovuto a una produzione non in equilibrio con consumi ed esportazioni. Grazie alla spinta della vertenza sul latte i produttori hanno avuto più consapevolezza sul ruolo della filiera e delle produzioni, per garantire stabilità ed equilibrio di mercato, che ha portato all’alleggerimento delle scorte nel 2019, dopo la produzione record dell’anno precedente”.
Come sta andando la campagna 2020?
“È iniziata a maggio-giugno ed è sul mercato in anticipo rispetto alle condizioni normali, ma è un segnale molto positivo. Guardiamo con ottimismo l’evolvere della situazione per i mesi autunnali. Certo, siamo consapevoli che dobbiamo misurarci con l’effetto della pandemia sull’economia. Quanto ai numeri, nella stagione 2019-2020 le forme di Pecorino Romano Dop sono cresciute del 15% circa, anche per i mancati sbocchi nelle filiere della ristorazione e dei mercati tradizionali, a causa del Covid”.
Sul fronte della sostenibilità ambientale la filiera ha aderito al progetto europeo Life Magis. Come sta andando?
Il sistema allevatoriale rigenera la vegetazione attraverso il pascolo brado
“Procede molto bene e il futuro passa da qui. Vogliamo promuovere e sostenere il nostro sistema allevatoriale, che è orientato a rigenerare la vegetazione attraverso il pascolo brado, favorendo la riduzione della CO2. Abbiamo calcolato che un chilogrammo di Pecorino Romano riesce a catturare 4,5 chili di CO2. Il progetto Life Magis, co-finanziato dal Programma Life della Unione europea e coordinato da Enea, permetterà alle aziende produttrici di certificare la propria filiera produttiva attraverso il “marchio green” del ministero dell’Ambiente, mettendo in evidenza la capacità di un’azienda di produrre inquinando poco e rispettando l’ambiente”.
Da dove passa, secondo lei, il futuro del mercato?
“Dalla filiera corta. Accorciando la filiera possiamo redistribuire il valore aggiunto che quasi sempre è appannaggio del distributore finale. Vogliamo fare accordi, pertanto, con il distributore finale, per sostenere la filiera e riconoscere la giusta redditività a tutti. Allo stesso tempo, abbiamo visto che l’e-commerce è un altro strumento che ci permette di raggiungere tutto il mondo, per cui sarà necessario migliorare le reti infrastrutturali fisiche e del web”.
Una curiosità. Sono passati 50 anni dallo storico scudetto del Cagliari. Avete celebrato il risultato come Consorzio del Pecorino Romano?
“Certamente, anche perché come Consorzio abbiamo festeggiato i 40 anni, il nostro Cagliari 50 anni. A causa del Covid, però, abbiamo festeggiato meno di quanto avremmo sognato. Quello scudetto è stato l’orgoglio di un’intera isola”.